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Gli esami di maturità al tempo del Covid

16-07-2021 08:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Gli esami di maturità al tempo del Covid

Tutto sommato...è passata anche questa

I dati relativi agli esami di Stato di quest’anno, benché non siano ancora definitivi, registrano un esito altamente positivo, con una pioggia di cento e cento e lode.

 

Invece di suscitare soddisfazione, questa notizia ha innescato critiche e polemiche, come sempre avviene nel nostro bel Paese.

 

Secondo alcuni i cento sarebbero troppi e conseguiti senza grandi meriti, vista la modalità semplificata dell’esame.

E se il numero di risultati pieni, avuti al Sud sarà maggiore che nel resto d’Italia, come spesso accade, si dirà che nel mezzogiorno la meritocrazia viene sempre sacrificata e che ogni occasione è buona per mandare avanti anche chi, in condizioni normali, sarebbe rimasto parecchio indietro.

 

A nessuno passa mai per la testa di affermare, o solamente di sospettare, che magari gli studenti meridionali siano più riflessivi, più inclini e abituati a stare sui libri, o che abbiano docenti che lavorino bene, “preparati e coinvolgenti”, come ha recentemente scritto il prof. Marco Dallari in un saggio dal titolo "La zattera della bellezza", edito da Il Margine.
 

Tornando agli esami che stanno per terminare, va detto che la semplificazione, ossia la riduzione di tutta la prova ad un solo colloquio, di circa sessanta minuti, alla presenza di commissari interni, coordinati da un presidente esterno, è stata una conseguenza dell’anno terribile che i giovani si sono appena lasciati alle spalle.

 

Nel quale la frequenza scolastica è avvenuta a singhiozzo: all’inizio tutti in presenza, poi tutti a distanza, poi in presenza al 50%, poi in presenza al 75% e, nelle zone rosse, di nuovo tutti a distanza.

Questo andamento inusuale ha avuto effetti non buoni sui ragazzi e sui docenti, peggiori di quelli avuti l’anno scorso.

Nel 2019/20, infatti, fino a marzo, le lezioni avevano avuto uno svolgimento regolare e la serrata totale aveva riguardato gli ultimi tre mesi, ossia un terzo dell’anno.

Nel 2020/21, invece, la chiusura è avvenuta a fine ottobre e ha, pertanto, interessato tutta la vita scolastica e incluso le elezioni degli organi collegiali, tutti i collegi docenti e gli scrutini, il ricevimento dei genitori.

È bene precisare anche che le poche lezioni in presenza si sono svolte in un clima di profonda incertezza e precarietà.

Dovuto ai contagi che, giornalmente, interessavano alunni e professori, e alle difficoltà di chi si sforzava di insegnare contemporaneamente a coloro che aveva davanti e a chi seguiva da casa, con la connessione che, di tanto in tanto, saltava e con telecamere che si accendevano e spegnevano ad intermittenza.

 

Per non parlare delle mascherine, indossate ininterrottamente, dentro e fuori aula, per almeno 5/6 ore al giorno, che appesantivano il respiro e ostacolavano la comunicazione. 
E non dimentichiamoci dell’aspetto psicologico, rispetto al quale si sono moltiplicate le crisi d’ansia, le sindromi depressive e sono pure cresciuti i casi di anoressia e bulimia.

 

Alla luce di queste riflessioni, che hanno riguardato l’intero territorio nazionale, era inevitabile e giusto che gli adempimenti finali ne tenessero conto.

A  mio giudizio, sarebbe stato preferibile, non solo sul piano formale, ma soprattutto su quello educativo, promuovere tutti, anche i ragazzi degli anni intermedi.

 

Quale docente, infatti, può dire, in coscienza e con assoluta sicurezza, che l’eventuale scarso rendimento di un suo scolaro, sia da addebitare esclusivamente alla negligenza o alla pigrizia e non sia, invece, riconducibile al disagio appena descritto?

Che i mancati collegamenti da remoto fossero intenzionali o non dovuti a reali difficoltà di rete?

Si potrà obiettare che è vero anche il contrario, che non si può escludere che qualche allievo infingardo abbia potuto specularci e trarne vantaggio, ammesso che si possa parlare di un vero vantaggio.

Ma "in dubio pro reo", insegnava Giustiniano millecinquecento anni fa e, più recentemente, don Lorenzo Milani sosteneva che la scuola rigorosa è quella che non boccia. 
 

Questo non significa ignorare le lacune che la preparazione di alcuni ragazzi potrà presentare, per colmare le quali, alcune istituzioni scolastiche hanno proposto loro, d’intesa con le famiglie, che vanno sempre coinvolte nell’educazione dei figli, dei corsi di potenziamento, magari con i loro stessi insegnanti, dopo la fine delle lezioni.

 

Sia chiaro, però, che se il rendimento degli allievi non è stato al massimo, quest’anno, non è solo per la dad.

Andrebbero piuttosto rivisti i piani di studio, la distribuzione delle ore nelle varie discipline, come in qualche altra occasione abbiamo osservato da questo stesso giornale.
 

A maggior ragione considero un bene che gli esami siano stati sostenuti in forma agevolata, per consentire ai candidati di accostarsi ad essi con serenità e lucidità.

E se, in qualche caso, i loro commissari sono stati particolarmente comprensivi e, a tratti, indulgenti, hanno interpretato bene il loro ruolo.

E hanno agito meglio di chi, al contrario, si è mostrato rigido ed esigente nei confronti dei suoi stessi alunni, fino, addirittura, a penalizzarli.

Peraltro, va pure sottolineato che il punteggio finale è la sommatoria dei crediti scolastici, accumulati durante il triennio, quindi chi ha avuto cento, non l’ha guadagnato nei sessanta minuti del colloquio d’esame, ma al termine di un percorso durato cinque anni e intensificatosi negli ultimi tre.
 

Con questi ragazzi e con le rispettive famiglie non possiamo che complimentarci ed augurare loro un prosieguo fruttuoso di studi o di lavoro e soprattutto auspicare una piena realizzazione umana e professionale.

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