All’Angelus di domenica scorsa, papa Francesco ha rivolto un appello ai cristiani affinché si alzino dalle poltrone in cui sovente sprofondano e si rialzino, spalancando gli occhi sulla realtà circostante e mettendosi a servizio delle tante persone che, purtroppo, vivono nel bisogno.
Tra di esse il pensiero del Pontefice è andato soprattutto a quanti lasciano la loro terra in cerca di un lavoro o di una condizione di vita più dignitosa e invece trovano la morte, spesso nell’indifferenza collettiva.
In particolare Bergoglio ha voluto ricordare i dispersi nel Mediterraneo, le vittime della Manica, provenienti in gran parte dal Kurdistan, annegati a seguito dell’ennesimo naufragio e coloro che, da settimane, si trovano al confine tra Polonia e Bielorussia.
Tra questi, purtroppo, si cominciano a contare decessi per assideramento, compreso un bambino, che non ha retto al freddo eccessivo.
Il richiamo accorato del Papa si collega a quanto egli aveva detto il 22 novembre nella basilica di San Pietro, a migliaia di giovani convenuti per iniziare il percorso verso la Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Lisbona nel 2023.
Durante l’omelia, Francesco li aveva esortati, innanzitutto, “ad alzarsi, a stare in piedi mentre tutto sembra andare a rotoli e ad essere costruttori in mezzo alle macerie”.
Li aveva pure invitati a non piegarsi mai, a non cedere ai ricatti, a difendere la verità a testa alta, come fu Cristo dinanzi a Pilato, affidando loro una responsabilità grave: impedire lo sfacelo mondiale, già in atto, prima che esso divenga irrimediabile.
Il Papa vorrebbe che i giovani tornassero a sognare, perché chi non sogna è già vecchio.
Il sognatore, invece, “accende una luce di speranza che annuncia il domani”.
Il Pontefice, inoltre, auspica una gioventù chiassosa, in grado di levare la voce contro le ingiustizie che soffocano i grandi ideali, che feriscono il pianeta e rischiano di distruggerlo, di denunciare ad alta voce le menzogne e gli inganni del consumismo, “che abbaglia e paralizza”.
Il Vescovo di Roma li induce a “mordere la vita”, a non lasciarla trascorrere con distacco, ad aggrapparsi ad essa per viverla con pienezza, con l’entusiasmo della loro età, con la libertà di chi ha il coraggio di andare controcorrente.
Il Papa desidera che i giovani si discostino dalla mentalità mondana, conformista, sempre schierata col più forte, equilibrista, egoista, che non si espone e non si sporca le mani.
E per questo egli li incita a criticare, a riappropriarsi della carica polemica di una volta, come i tanti ragazzi impegnati contro l’inquinamento ambientale.
Francesco incoraggia i giovani a non arrendersi, a non arretrare dinanzi agli ostacoli, a non deprimersi quando si cade e a trovare sempre la forza di rimettersi in piedi e di riprendere il cammino.
La questione sollevata dal Pontefice rimanda a una delle dimensioni che ormai è quasi del tutto venuta meno nel rapporto tra genitori e figli: il cosiddetto “conflitto generazionale”, ossia quell’insieme di reazioni, solitamente contestatarie, che gli adolescenti opponevano alle regole impartite dagli adulti.
Era un modo col quale i ragazzi mettevano in discussione gli insegnamenti ricevuti, affermavano la propria autonomia di giudizio e di scelta e provavano ad affrancarsi dall’autorità genitoriale, soprattutto paterna.
Questo genere di comportamento presupponeva un’educazione basata prevalentemente sui no e una sostanziale sintonia delle principali istituzioni educative: famiglia, scuola e Chiesa.
Le proteste, infatti, iniziavano a casa e spesso continuavano in aula o in parrocchia, dove si manifestava apertamente il desiderio di cambiare il mondo e di trasformarlo secondo criteri ideologici di giustizia e uguaglianza.
Adesso sono anni che tali condizioni non si verificano più: le norme sono pressoché scomparse, i padri, scrive Massimo Recalcati, sono “evaporati” e il conflitto è diventato trattativa, negoziato e, in qualche caso, compromesso.
I genitori hanno cercato di prevenire ogni eventuale difficoltà, anticipando desideri e bisogni e alcuni di loro si sono illusi di potere colmare il divario anagrafico, presentandosi come amici e facendosi dare del tu dai coetanei dei loro figli.
I giovani, dal canto loro, sembrano ormai sdraiati, come li ha chiamati Michele Serra, assuefatti alle logiche che un tempo avversavano.
Essi ostentano disinteresse, se non rifiuto, verso la politica e non nascondono più quella che Pasolini definiva “l’ansia piccolo borghese per il domani, la fobia per la miseria e l’insuccesso, una specie di piccola e intensa malattia mentale”.
Il Papa ha dato una grande lezione ai giovani e, indirettamente, alle famiglie.
Un monito per sensibilizzare le coscienze di fronte ai troppi mali che affliggono l’umanità.
Un appello a riscoprire il fascino della politica e il piacere di spendersi per il bene comune, ad adoperarsi per assicurare a tutti un domani migliore.
Un richiamo forte e autorevole a vincere l’individualismo, a fronteggiare la “globalizzazione dell’indifferenza”, a non voltarsi dall’altra parte dinanzi ai rimpatriati, ai catturati dai trafficanti, che li trasformano in schiavi, vendono le donne e torturano gli uomini; a quelli che tentano di attraversare il Mediterraneo cercando una terra di benessere e, invece, vi trovano una tomba; agli oltre quaranta milioni di esseri umani, che ancora nel mondo anelano ad una libertà che non hanno mai avuto.