
I risultati parlano chiaro, qualora ce ne fosse ancora bisogno: la distanza tra il cosiddetto "corpo elettorale", il "popolo", la "gente" e le istituzioni, o meglio chi le incarna e rappresenta, è decisamente siderale.
Non esiste più, e ormai da tempo, alcun collegamento, alcun contatto con quella che appare una casta autoreferenziale del tutto inadeguata ed inefficiente che ha occupato ogni spazio pubblico facendone scempio e resta in piedi soltanto perché è riuscita, sinora, a costruirsi un impianto di ingegneria elettorale che non consente ricambi.
Non v'è dubbio che l'Italia ha bisogno urgentissimo di riforme e quella della Magistratura è tra le più urgenti, ma il fatto che a proporla e gestirla possa essere quella stessa classe politica che sta distruggendo il paese desta più preoccupazioni dei problemi che dovrebbe risolvere: e gli italiani non ci hanno creduto.
E probabilmente non credono più a niente.
Una chiamata referendaria così importante che non riesce ad ottenere l'attenzione di più del 20% degli elettori non può aprire soltanto riflessioni accademiche, quanto indurre, chissà come, a soluzioni immediate, prima che ci si trovi trascinati in derive imprevedibili e pericolosissime.
Stesso ragionamento per le elezioni comunali, che si sono svolte contemporaneamente al referendum: anche qui il calo di affluenza è stato drammatico, con punte del -20% rispetto alle precedenti.
Le competizioni comunali sono sempre le più frequentate, non foss'altro per il gran numero di candidati che in genere coinvolge tra parenti e amici quasi ogni famiglia: neanche questo basta.
Non ci si crede più.
E addossare la responsabilità all'elettore apatico, distratto, incivile, è semplicemente insulso.
L'elettorato italiano, da almeno un trentennio, ha lanciato segnali inequivocabili, provandole tutte per cambiare un sistema politico/istituzionale che dichiaratamente non apprezza e anzi disistima platealmente.
Sin dal '94, quando votò in massa, dopo il trauma di tangentopoli, l'allora stimato imprenditore Silvio Berlusconi: la promessa di riforme autenticamente liberali che avrebbero potuto produrre un rilancio economico e sociale fece breccia, salvo poi infrangersi di fronte all'arrembaggio degli affari e dei loro alfieri.
Ma, al di là dei risultati effettivi, l'indicazione dell'elettorato era chiara: "proviamo a cambiare!"
E sappiamo com'è finita.
Facendo un salto, si arriva all'epopea di Matteo Renzi, siamo nel 2014, che con lo slogan "rottamiamo la vecchia casta" avvolarata dalla sua giovane età e dalla indiscutibile capacità dialettica e comunicativa, catturò il favore popolare che gli attribuì un clamoroso 40% alle europee.
Anche in quel caso l'intenzione dell'elettorato era chiara: "ri-proviamo a cambiare!"
E sappiamo com'è finita.
Arriviamo all'ultima tornata, quella del 2018, con il fenomeno "Grillo-5Stelle", quelli che dovevano aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, la protesta anti-sistema più eclatante dall'avvento della Repubblica, la provocazione più radicale: oltre il 32% alle politiche, diventa partito di maggioranza relativa in parlamento, con centinaia di parlamentari eletti, 336 su un totale di 945.
E a questo 30% si aggiunse il risultato eccezionale della Lega di Salvini che passò dal misero 4% cui l'avevano lasciata gli scandali della gestione Bossi ad oltre il 17%, diventando clamorosamente il primo partito del Centro Destra, esattamente quello che sta accadendo adesso con Fratelli d'Italia di Meloni.
Anche in quel caso l'intenzione dell'elettorato era chiara: "ri-ri-riproviamo a cambiare!"
E sappiamo com'è finita.
Ed a quel voto indiscutibilmente di protesta si sommava il crescente astensionismo, che ormai supera abbondantemente il 50%, la metà dei cittadini che a votare neanche ci va più.
Lo abbiamo già scritto: il 50% di astenuti + almeno il 30% che vota per protesta.
Significa che in Italia almeno l'80% dei cittadini non si riconosce più nel sistema chene dovrebbe curare interessi e speranze.
E lo esprime civilmente, non andando a votare o cercando alternative che ogni volta si domostrano traditrici: "CHE POTREBBE FARE DI PIÙ?"
Su questo sarebbe bene aprire la riflessione, e invece assisteremo già da oggi alla solita ridda di quelli che si annunceranno tutti vincitori.
Tutti, tranne l'Italia e gli italiani.