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Intervista a Mons. Antonino Raspanti,Vescovo di Acireale e Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana

02-07-2022 07:55

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Intervista a Mons. Antonino Raspanti,Vescovo di Acireale e Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana

Riflessioni in momenti di crisi

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Buongiorno, Eccellenza, grazie di avere accolto il nostro invito.
Come si sono preparate le Chiese di Sicilia all’incontro mondiale delle famiglie?


In realtà non c’è stato un coordinamento regionale, come è capitato per altri eventi, in quanto l’indicazione giunta dalla Santa Sede, tramite la Conferenza Episcopale Italiana, è stata di celebrare l’incontro in maniera decentrata, diocesi per diocesi, con momenti di adorazione eucaristica, catechesi, riunioni nei vari vicariati con i responsabili diocesani delle famiglie.

Un impianto diverso dall’ultimo, tenuto a Dublino nel 2018, che fu, invece, un mega raduno mondiale.

Qui ad Acireale abbiamo messo in atto quanto era stato dettagliatamente comunicato da Roma. Sono sicuro che tutte le altre diocesi si sono comportate alla stessa stregua.

 

Secondo gli ultimi dati ISTAT, in Italia i matrimoni sono precipitati dai 250.000 circa del 2009 a meno di 100.000 nel 2020, quelli celebrati in chiesa sono addirittura diminuiti del 68% in un anno (2019-2020).

Che sta succedendo, Eccellenza? Perché tanta sfiducia nell’istituzione nella quale tutti siamo nati?


Premesso che l’ultimo anno cui si riferisce il dato è quello del covid e che tra il 2021 e il 2022 si sono sposate tantissime persone, che avevano rinviato il loro matrimonio, è innegabile che il trend non è positivo.

Si constata in ogni parrocchia che i matrimoni sono in calo, come anche i battesimi, le cresime e le prime comunioni. Certamente ha influito l’inverno demografico, i cui effetti sono evidenti anche nella scuola, dove si fatica sempre di più a formare le nuove classi e, talora, si è costretti a chiudere le sezioni.

Ma c’è pure la tendenza alla convivenza, come risulta dal decremento non solo dei matrimoni religiosi, ma anche di quelli civili.

È vero, quindi, che non si ha più fiducia nell’istituto familiare, la cui ragione principale ritengo sia da ricondurre allo sfaldamento del cosiddetto “nucleo madre”, ossia alla fine della coppia formata da un uomo e da una donna, che decidono di stare assieme per tutta la vita.

Alla disgregazione di questo “nucleo madre”, si deve il moltiplicarsi di persone sfiduciate, affannate, ansiose, tendenti all’aggressività, come si può riscontrare nella vita sociale.

È il “nucleo madre”, che garantisce la crescita armonica del bambino ed è noto che più armonica è la crescita di un figlio e più aperta e fiduciosa sarà la sua personalità nel futuro: meno incline al possesso, all’attaccamento, alla paura e a tutta una serie di fattori che, in genere, rendono, non dico morbosi, ma certamente non pienamente liberi e maturi i rapporti tra le persone. 
Non voglio dire che nel passato, ad esempio prima dell’introduzione della legge sul divorzio, tutto andasse bene, ma indubbiamente l’apertura di un nuovo costume e di una nuova mentalità ha avuto le sue conseguenze.

Ribadisco: non auspico un ritorno al passato, di cui non saprei neanche prevedere gli sviluppi, né che una coppia debba rimanere unita a tutti i costi (non mi riferisco all’indissolubilità del sacramento, che rimane punto fermo).

Ma non mi sembra che l’impostazione attuale, la cui origine, intendiamoci, precede la legge sul divorzio, stia generando futuro.

Al contrario, ho l’impressione che essa abbia causato la sfiducia di cui si parla nella domanda e il tracollo delle nascite, un dramma diffuso un po’ in tutto l’occidente, ma particolarmente evidente in Italia.

L’istituto della famiglia classica, così come l’abbiamo conosciuta, è dunque sfidato, ma non ho dubbi che una famiglia unita e stabile rappresenti una garanzia di futuro, di generatività vera, di capacità cioè di dare futuro felice e di esser felici solamente se si dà un futuro felice ai propri figli e agli altri in generale.

 

Sabato scorso, durante la celebrazione conclusiva dell’incontro, il Papa ha espresso parole molto impegnative: ha parlato di libertà, di fiducia, di amore, di vocazione e ha concluso dicendo alle famiglie convenute in Piazza San Pietro: “La Chiesa è con voi, anzi, la Chiesa è in voi!”.

Che tipo di effetto potranno sortire?

Per una famiglia del 2022, sapere di essere Chiesa, cosa può comportare concretamente?


Tendenzialmente dovrebbe significare la capacità domestica di essere soggetto e non più oggetto, soggetto ecclesiale, che concretamente vuol dire esprimere pienamente la preghiera al suo interno, senza adire sempre il luogo di culto, ovviamente domenica e feste comandate a parte.

Pregare in famiglia e pregare come famiglia ha un valore straordinario, perché, in tal modo, essa diviene il santuario e la casa quasi un edificio di culto.

Questo, inoltre, avvicinerebbe la preghiera e il culto a Dio alla quotidianità, al lavoro, agli affetti.

Un altro punto importante è quello della evangelizzazione, della catechesi, che non sarebbero più appannaggio esclusivo delle parrocchie, ma sarebbero vissute in famiglia.

I genitori assumerebbero il ruolo di primi evangelizzatori e catechisti dei loro figli, ma anche di parenti, amici e vicini.

Avviare i figli verso la vita civile e la comprensione del lavoro e dell’amore familiare stesso, come vocazione.

E ancora, l’accoglienza, la carità, l’elemosina, la possibilità e la capacità di dialogare col mondo esterno, con la città, con la società, con le arti.

La famiglia in sé come soggetto di dialogo, di riflessione, di approfondimento, di evangelizzazione appunto.

 

Forse la difficoltà più grande che incontrano i genitori, che abbracciano un tale modello di famiglia, è data da quell’antitesi tra famiglia e società, di cui parlava Hegel e che oggi è del tutto evidente. Spesso i figli, quando cominciano a muoversi autonomamente nella società, si accorgono che essa si muove in una direzione diversa.


Sì, è vero, questo si nota dalla frequenza dei sacramenti che, ad una certa età, si interrompe e non è detto che riprenda in futuro.

A volte si verifica un ritorno quando anch’essi diventano genitori, ma molto spesso si tratta di una ripresa annacquata e non duratura.

La questione sta nell’affievolimento dell’appartenenza alla Chiesa: quando questo accade, sbiadisce anche la fede, in modo direttamente proporzionale; è inevitabile.

La Chiesa è la madre che ti nutre, se ci si allontana da chi nutre, si rinsecchisce, ne sono certo.

 

Quando lo Stato promuove politiche in favore della famiglia, dà l’impressione di agire come se l’unico problema sia quello economico: bonus, assegni, rimborsi. Non crede che ci sarebbe bisogno anche di altro? 


Indubbiamente l’aspetto economico è molto importante, ma fermarsi ad esso è limitante, unidimensionale.

È il senso, più che il denaro, che dà motivazione e, dunque, significato, ai comportamenti.

Vero è che ci troviamo all’interno di una cultura distorta in cui la qualità della vita si misura in base al prodotto interno lordo, ma, oltre a quelle di natura economica, si potrebbero certamente concepire politiche funzionali a garantire il lavoro, come strumento di realizzazione personale, o a migliorare la convivenza quotidiana, pensandola in modo “familocentrico”, anziché individualistico.

Tuttavia, ritengo che non provengano dallo Stato i valori motivazionali, che danno fiducia nel futuro, che danno voglia di generare e di vedere con gioia e con soddisfazione che altri, a cui tu hai dato vita, crescono, maturano, hanno una prospettiva felice davanti a loro e hanno buone possibilità di essere, a loro volta, generativi, attivi, capaci di produrre valore. Da questo punto di vista la religione può, invece, svolgere un ruolo decisivo, come anche l’etica, in tutte le sue sfaccettature: l’etica del lavoro, l’etica sociale. È l’aspetto morale, valoriale, infatti, che motiva, appellandosi alla tua coscienza e interpellandoti nella tua dignità.
Su questi temi lo Stato liberale è, per sua natura, freddo, distaccato, non si preoccupa di riscaldare il cuore dei cittadini, perché, rispettando la persona nella sua libertà e nella sua capacità di autodeterminarsi, si mette in una posizione neutra e asettica, non può comandare alla coscienza. Lo Stato riconosce la coscienza come fonte, però la coscienza stessa, atea o credente che sia, sa di non essere, essa stessa, la fonte della morale, ma è tenuta a riconoscere dei doveri, dei valori, “un universo stellato”, che è sopra di me, come direbbe Kant, che non si può tradire; se si tradisse, si tradirebbe la propria dignità e si diventerebbe come le bestie.
Lo Stato liberale tuttavia chiede una serie di prestazioni, per cui sembra che separi la tua coscienza da ciò che la motiva, ritrovandosi, poi, cittadini esanimi, senza fiato, senza respiro, senza motivazioni. Un sintomo preoccupante è la scarsa partecipazione degli stessi alla vita pubblica, poiché non vedono valorizzate le loro azioni. Bisogna stare molto attenti, perché se la democrazia si basa sulla partecipazione, ma la sua infinita proceduralità distrugge e dissangua la coscienza, la partecipazione si riduce per stanchezza, o per impotenza, e la democrazia rischia il suicidio.


Pasolini aveva preannunciato una mutazione antropologica, dovuta alla cultura capitalista.

Alla luce delle profonde trasformazioni subite dalla famiglia negli ultimi tempi, ritiene che ci siamo già?

E a proposito di Pasolini, in un editoriale comparso il 19 gennaio 1975 sul Corriere della sera, fece scalpore la sua netta contrarietà all’aborto.

Pochi giorni fa la Corte Suprema degli USA ha, di fatto, reso illegale l’aborto in America. Nel mondo si è parlato di grave violazione di un diritto. Ma, a prescindere dalla fede che si professa, può l’aborto essere considerato un diritto?
  
Pasolini è stato una persona di grande cultura, spessore, e intelligenza, a parer mio era cristiano nella formazione, anche se critico verso il cattolicesimo degli anni Cinquanta, da lui giudicato ipocrita, conformista e ingessato.

La scelta del Vangelo di Matteo per la realizzazione del celebre film dimostra la convinzione del regista di avere Gesù dalla sua parte perché, soprattutto nel Vangelo di Matteo, è affermato con chiarezza che gli ultimi saranno i primi.

Tra questi ultimi egli si colloca e si identifica per le sue vicende personali.

Ritengo che per il coraggio di certe sue denunce, dovremmo pure essergli riconoscenti.
Quanto alla mutazione antropologica, come affermavo prima, istituire una legge crea un cambiamento di mentalità, un nuovo corso, un nuovo modo di interpretare i comportamenti.

Noi abbiamo sempre sostenuto e, sul piano del principio, continuiamo a farlo, perché ne siamo fermamente convinti, che abortire, interrompere una gravidanza, in qualunque momento della gestazione e in qualunque modo, significa uccidere un essere umano, una persona.

Ovviamente non ignorando casi limite, pesanti e difficili.

Ma oggi non è più come quando si introdusse l’aborto e successivamente si celebrò il referendum per abolirlo, perché in tutti questi anni la legge ha istituito comportamenti e convinzioni, che arrivano, addirittura, a definire l’aborto un diritto.

Mi sembra che la sentenza della Corte Suprema, più che rendere illegale l’aborto, abbia affermato che esso non è un diritto sancito dalla Costituzione degli Stati Uniti, lasciando ai singoli Stati la facoltà di decidere. L’opinione pubblica è, di fatto, spaccata su questa materia, con le relative conseguenze sociali.
Per quanto riguarda l’Italia, poi, tutta quella protezione della vita, su cui la legge 194 è scritta, non è stata assolutamente messa in pratica.

Questo ha confermato il timore, espresso durante la campagna referendaria di quaranta anni fa, che ad alcuni sostenitori dell’aborto interessava solamente aprire la strada all’interruzione della gravidanza.

A costoro dava e continua a dare fastidio, che molti medici siano obiettori di coscienza, condizione che taluni quotidiani di respiro nazionale, presentano come un ostacolo all’esercizio di un diritto.

Detto questo, capisco che un tornare indietro, dopo due, tre generazioni, susciti traumi nelle persone e, benché l’aborto, e dunque la soppressione di una vita, non possa essere né considerato, né percepito come un diritto, perché non può esserci il diritto di uccidere, la maggior parte dell’opinione pubblica attuale, non riuscirebbe più a tornare indietro, perché non capirebbe, non essendo stata educata a questo.

Anche perché, diciamolo con franchezza, sono mancati, in questi anni, dei veri educatori alla vita e l’aborto, in molti casi, è stato presentato come una pratica che la Chiesa condanna, perché deve condannarla, per cui facciamoglielo dire e basta. Eppure, possiamo continuare a ingannare le coscienze e lasciare incurata una piaga?

 

Come immagina le famiglie italiane nei prossimi anni?


Purtroppo molto frammentata, perché le premesse di oggi sono di questo tipo: paura di vivere insieme, di instaurare relazioni stabili, cui si aggiungono le difficoltà del lavoro, soprattutto in ordine alla distanza e alla mobilità, che non è soltanto geografica, ma ahimè anche affettiva e relazionale.

Gli spostamenti privano pure i genitori del grandissimo aiuto dato dai nonni, che in certe situazioni si rivelano provvidenziali. Quindi, lo ripeto, una famiglia frammentata, accidentata, in grande difficoltà, per quanto si colga il desiderio tra i giovani di creare nuove famiglie.

Però capisco che occorrono stabilità, coraggio e tanto equilibrio umano.

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