
Anche questa settimana ci tocca soffermarci su di un’altra figura di rilievo mondiale, che pochi giorni fa ci ha lasciati: la regina Elisabetta II.
Si tratta di un personaggio profondamente diverso da Gorbaciov e, per un lungo periodo, potremmo dire opposto, essendo stato il capo di uno Stato in cui era nato il capitalismo, il sistema economico contro il quale il comunismo ha condotto la sua lunga battaglia.
Pure di fronte alla storia il giudizio sui due statisti è diametrale: se infatti Michail Sergeevič l’ha cambiata da vivo, Elisabetta l’ha fatto con la sua morte.
Il primo è stato, infatti, l’artefice di un radicale programma di riforme, che ha posto fine alla guerra fredda, alle contrapposizioni ideologiche, al bipolarismo tra le due superpotenze.
Purtroppo, il cambiamento è stato così repentino da essere sfuggito al suo stesso ideatore.
La Regina, invece, ha regnato per settant’anni, rimanendo sempre ancorata alla tradizione che ha, di fatto, garantito la sopravvivenza della monarchia.
Nonostante i pettegolezzi che hanno turbato la vita di corte più volte, le frivolezze di molti membri della famiglia reale, la condotta non sempre irreprensibile del principe consorte e la presenza sovrastante e scomoda di Diana, sia da viva che da morta.
Con la scomparsa di Elisabetta, come hanno scritto molti giornali, nulla sarà più come prima, a parte il titolo, che continuerà ad essere usato, come nelle altre monarchie ancora esistenti in Europa e nel mondo.
Carlo è già diventato Carlo III e lo sarà sino alla morte o ad una sua improbabile abdicazione.
Ma dubito che sia in patria che all’estero sarà visto, e considerato, come un vero Re.
Ciò che è morto con sua madre è il significato, il senso della corona, il fatto di trovarsi al vertice di una nazione senza essere stati eletti dal popolo, senza avere dimostrato nessuna capacità politica o militare, senza avere conquistato il potere.
Ma perché scelti da Dio, unti da un vescovo in nome suo, investiti di una missione soprannaturale, chiamati al compimento della volontà di Dio, impegnati a sacrificarsi per il popolo, o meglio per i sudditi, preoccupandosi delle esigenze spirituali al pari di quelle materiali.
Tutto questo credo proprio che sia finito per sempre.
Come del resto è finito in Belgio, dopo la morte di Baldovino, in Spagna dopo Juan Carlos e negli altri regni sui cui troni sedevano persone di grande carisma, cresciuti in un contesto culturalmente molto distante dal nostro, benché storicamente abbastanza vicino, in un’epoca in cui si credeva ancora nell’origine divina del potere e dunque nella sua discendenza dall’alto.
Adesso è la volta di Carlo, che diventa Re all’inconsueta età di settantaquattro anni, il prezzo che un erede deve pagare se vuole godersi a lungo il genitore regnante.
Che la successione avvenga a venticinque anni dall’incidente mortale occorso alla moglie Diana è certamente un vantaggio, egli ha avuto tutto il tempo di recuperare l’affetto e la stima dei Britannici.
Anche la moglie Camilla ha beneficiato di questa lunga attesa, riuscendo, a quanto pare, a conquistare, sia pur faticosamente, i cuori della gente.
Sono consapevoli che le prove che attendono entrambi non sono facili da superare, non solo dal punto di vista politico, ma soprattutto personale e familiare, per l’inevitabile confronto con Elisabetta, cui il nuovo sovrano sarà spesso sottoposto e per le bizzarrie del secondogenito Harry e della nuora.
Per una dinastia il confine tra pubblico e privato praticamente non esiste, per cui il buon senso e la prudenza saranno determinanti.
Vorrei concludere evidenziando una nota comportamentale che, spero, sia recepita come una grande lezione, che il Regno Unito ha saputo dare.
In un’epoca in cui il lutto è ormai considerato un retaggio del passato, alla notizia che la Regina si era spenta, tutto il Paese si è fermato: la BBC ha cambiato la programmazione, i negozi si sono listati di nero, la gente si è riversata davanti a Buckingham Palace e perfino il campionato di calcio ha sospeso le partite in calendario.
È proprio vero che la grandezza di una nazione si vede anche dal modo in cui sa onorare i suoi morti, come scrive il poeta: “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”.