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Il caso Juventus, la nuova calciopoli: "Può scindersi il divertimento dalla morale?"

03-12-2022 06:45

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Il caso Juventus, la nuova calciopoli: "Può scindersi il divertimento dalla morale?"

Un gioco trasformato in cosa seria con troppi soldi che ballano e spesso finisce male

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Mentre in Qatar proseguono i campionati mondiali di calcio, tra le polemiche e lo spettacolo che, comunque, non manca, grazie ai fuoriclasse, in Italia riesplode calciopoli.

 

Finora una sola squadra è stata posta sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti ed è la Juventus.

 

Dunque la Vecchia Signora, a sedici anni dalla condanna alla retrocessione in B, torna di nuovo nell’occhio del ciclone.

 

Questa volta non ci sarebbero partite truccate, ma una gestione non trasparente dei bilanci della società.

L’inchiesta, infatti, è partita dalla Procura della Repubblica di Torino, che ha pure richiesto, ma non ottenuto, la custodia cautelare nei confronti di alcuni dirigenti bianconeri.

Non si può escludere, tuttavia, anche un pronunciamento della giustizia sportiva e, dunque, una nuova pesante sanzione a carico del club più blasonato d’Italia. 


Ora, tutti sappiamo che il calcio è diventato, da tempo, un business assai redditizio, con contratti pantagruelici, investimenti esorbitanti e transazioni da capogiro.

D’altra parte, se così non fosse, non potremmo avere la qualità dei servizi di cui usufruiamo: partite in quasi tutti i giorni della settimana, stadi lussuosi, programmi sportivi ad ogni ora, calciatori provenienti dai cinque continenti, prestazioni atletiche di alto livello, pretese e, in gran parte, corrisposte.

 

È evidente a tutti che nessun imprenditore investirebbe senza una concreta e allettante prospettiva di guadagno.

 

E purtroppo, come diceva Honoré de Balzac, “dietro una grande ricchezza si nasconde sempre un grande crimine”.

 

Ovviamente senza le generalizzazioni, che mal si conciliano con la verità, non rassegnandosi alle corruttele e ai sotterfugi ed evitando di pensare che la proprietà sia un furto, specialmente se ottenuta con la fatica e il lavoro onesto.


Come sempre, preferiamo astenerci dal giudicare quanto è ancora in corso di accertamento e lasciamo che i magistrati proseguano il loro lavoro e facciano luce sull’accaduto.

 

Penso che chiunque abbia a cuore il calcio debba, però, augurarsi che squadre come la Juventus, che hanno scritto pagine gloriose della storia sportiva italiana, continuino a militare nel massimo campionato e nei più prestigiosi tornei internazionali.

 

E soprattutto che rimangano patrimonio nazionale e non siano fagocitate dai magnati della vorace finanza straniera.

 

Ma la situazione attuale nella quale versa il calcio, a prescindere dalla vicenda specifica, impone una riflessione abbastanza schietta e severa.

 

Lo sport, ad esempio, è per definizione ed etimologia, divertimento, mi chiedo: può scindersi il divertimento dalla morale?

 

In altre parole, può uno spettatore assistere ad una partita di calcio e godere dello spettacolo che essa offre, se il pallone con cui si gioca è stato cucito da bambini pakistani – o di altri Paesi del terzo mondo – sottopagati e costretti a lavorare fino a deformarsi le dita delle mani?

 

Possiamo ignorare che il giocatore che lo calcerà ha, invece, un compenso di 200 milioni di euro annui, pari a 500 mila euro al giorno?

O che per costruire gli stadi nei quali si sta comodamente seduti in Qatar, sono morti in tutto 6500 operai?

È possibile che un’attività, il cui svolgimento è previsto nel rispetto di regole codificate, sia organizzata e, talora, anche praticata, in spregio alle più elementari norme giuridiche?


Sono questi alcuni degli interrogativi dai quali si dovrebbe ripartire, per ricondurre il calcio nell’alveo dell’umanità.

 

L’uso spregiudicato del danaro ha leso la dignità dello sport, ossia la spontaneità, il sano agonismo, la dimensione sociale, educativa e, a volte, terapeutica di una disciplina.

 

Ma soprattutto ha trasformato un gioco in una cosa seria, snaturandolo, stravolgendone, cioè, il senso autentico, profondo, leggero, che lo rende accessibile a tutti, a cominciare dai bambini.

 

E forse la lezione più efficace potrebbe essere data da loro, dai più piccoli, dalla loro disinteressata visione del mondo e della vita.

 

Temo, ahimè, che nell’Occidente opulento, questo auspicio rimarrà irrealizzato e che la genuinità e naturalezza del calcio rimarranno un nostalgico ricordo di qualche decennio fa. 
       

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