Il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, che oggi celebriamo, cade in un momento non facile per l’istruzione e, in generale, per l’educazione in Italia.
Mi riferisco, ad esempio, ai dati allarmanti della dispersione scolastica, che è ancora del 13% a livello nazionale e di oltre il 21% in Sicilia.
Ma anche a certe scelte legislative, che negli ultimi anni hanno sottratto agli studenti la centralità che spetterebbe loro, favorendo il prevalere di logiche più aziendaliste che formative.
La lezione che ci proviene dal priore di Barbiana conserva una grande e sorprendente attualità, riassumibile in almeno tre fondamentali insegnamenti.
Il primo riguarda l’affetto che ogni educatore deve nutrire per i suoi giovani e senza il quale ogni approccio è destinato al fallimento.
Don Milani, sacerdote della diocesi fiorentina, soleva dire di avere amato i suoi ragazzi più di Dio.
Può apparire un’affermazione blasfema, in realtà essa manifesta molto efficacemente l’essenza della fede da lui professata.
Il cristiano ama Dio nel prossimo bisognoso, fragile, abbandonato, emarginato, ammalato, senza famiglia, senza patria, né istruzione.
Dice San Giovanni che non si può amare Dio che non si vede se non si ama il fratello che si vede.
E San Vincenzo de’ Paoli, a chi gli chiedeva se la domenica dovesse andare in chiesa, tralasciando di assistere gli ammalati, rispondeva: “Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Dio”.
I giovani hanno diritto di essere amati e, ancor di più, sono desiderosi di sentirsi amati.
Spesso le famiglie sacrificano questo secondo aspetto, quando i genitori mancano di stare con i propri figli, di giocare assieme a loro se sono ancora piccoli, di condividere il tempo libero e soprattutto di dialogare, perché troppo impegnati nelle attività lavorative.
La preoccupazione legittima di preparare un avvenire florido, può finire col trascurare i bisogni di oggi.
Don Lorenzo rinuncia, invece, alla prosperità del suo avvenire, propiziato dal benessere economico della famiglia in cui era nato, alla brillante carriera ecclesiastica, che le sue capacità gli avrebbero assicurato, per dedicare la vita e l’impegno pastorale interamente ai più piccoli.
Ad essi offrirà le energie migliori, la cultura, il coraggio, l’intraprendenza, ma anche le umiliazioni, le amarezze, le sconfitte.
Il secondo insegnamento di don Milani si basa sulla celebre espressione “I care”, che campeggiava sulla parete più grande della sua scuola.
Oggi è purtroppo tornato di moda il “me ne frego” e se non esprime più la spacconeria dello squadrismo fascista, almeno finora, è però riconducibile a quell’indifferenza, che attualmente costituisce il pericolo più grave. L’individualismo, prodotto dalla cultura capitalista dell’occidente, minaccia seriamente le relazioni tra gli uomini ed è all’origine di tanti conflitti, che affliggono la società.
Il nuovo rinascimento da molti auspicato, non potrà non partire dal recupero dell’altro, dal prendersi cura di lui, dall’avere a cuore il suo destino.
Il terzo insegnamento è un ulteriore merito che va riconosciuto a don Lorenzo Milani, l’avere cambiato la visione della scuola, non più quella elitaria di gentiliana memoria, che sopravviveva nel secondo dopoguerra e forse permane tuttora, ma inclusiva, aperta a tutti.
Tale importante innovazione scaturì dal connubio del Vangelo, che egli definiva “il libro più bello del mondo”, con la Costituzione italiana.
I testi che i suoi ragazzi vedevano costantemente presenti sulla cattedra del loro maestro e che hanno in comune la centralità dell’essere umano.
Nel campo dell’educazione, tale centralità riguarda il giovane, considerato per il suo essere persona, senza distinzione di ceto, di sesso, di attitudini e neppure di merito.
Tutti hanno diritto ad istruirsi come tutti hanno diritto alla libertà, perché un uomo non sarà mai veramente libero se rimarrà nell’ignoranza.
Dopo il Papa, fra poche ore anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella renderà omaggio alla tomba di Lorenzo Milani.
La Chiesa e la Repubblica italiana fanno così ammenda delle sofferenze, che più o meno consapevolmente e volontariamente, hanno arrecato al sacerdote di Barbiana.