Il 9 aprile è stata un'altra brutta giornata per Catania.
Una giovane studentessa è precipitata dal settimo piano della scala esterna di uno degli edifici del Policlinico universitario ed è morta.
Sulle cause ed eventuali motivazioni stanno ancora indagando e quindi silenzio e rispetto: almeno da parte nostra.
Pur non seguendo in genere la cronaca, abbiamo dato la notizia a firma di Elisa Petrillo con tutta la delicatezza possibile, limitandoci, e resta la posizione del giornale, a segnalare che quel genere di scale, con ringhiera di appena un metro o poco più, forse meriterebbero una maggiore cautela nelle misure di sicurezza. Lo spiegheremo meglio dopo.
Non pensavamo fosse necessario tornarci, ma una pierinata della direzione generale del Policlinico ci costringe a farlo, non prima di aver dato conto di quanto hanno ritenuto di fare inviandoci una sorta di replica che dimostra, quanto meno, che evidentemente non hanno di meglio e più serio da fare.
Infatti poco prima delle 13 di giorno 10 riceviamo una mail dall'ufficio stampa del Policlinico di Catania, quello diretto dal noto dr. Gaetano Sirna di cui ci siamo più volte occupati, e non solo noi, perché nessuno è riuscito a spiegare perché cavolo non lo mandano in pensione quando ci doveva andare per legge sin dal 2018…ma questa è un'altra storia.
Ecco la mail:
"Inoltro, di seguito, una breve nota della direzione generale della nostra azienda in merito al contenuto dell’articolo di ieri, 9 aprile 2024, a firma di Elisa Petrillo dal titolo “Muore cadendo dalle scale antincendio del Policlinico di Catania”.
Cordialmente,
MP
“Spiace rilevare, in un momento di stupore e sofferenza che ha colpito tutta la comunità dell’ospedale, alcune affermazioni apparse su codesta testata giornalistica a firma della Dott.ssa Petrillo che nulla aggiungono alla cronaca di quanto accaduto per evidenziare invece, anche a costo di creare un falso convincimento tra i lettori, le condizioni di sicurezza della scala antincendio sede del tragico evento.
In merito, corre l’obbligo ribadire a chiunque acceda a fonti informative, anche tramite testate giornalistiche online, le condizioni “a norma” della citata scala antincendio che nulla possono rispetto alla intenzionalità di un gesto così drammatico.
La perdita di una vita così giovane pone tanti interrogativi ai quali è sempre difficile rispondere e certo una recinzione, così come auspicato nell’articolo, non rappresenta la risposta più adatta”."
Fin qui la nota della direzione generale del Policlinico di Catania.
Ora, al di là della sintassi, quello che vorrebbero rappresentare è alquanto bizzarro e parrebbe tendere ad affermare il rispetto di norme di sicurezza che nessuno ha inteso mettere in dubbio, non perché fossero rispettate, ma per il semplice fatto che non eravamo in condizioni di accertarlo e comunque non era certo compito di un giornale, c'è chi lo sta facendo.
Piuttosto, nell'articolo di Elisa Petrillo, ribadiamo pienamente condiviso in redazione e preliminarmente discusso con la direzione editoriale, si voleva molto modestamente segnalare che in ambienti particolarmente a rischio magari sarebbe più prudente attuare misure maggiormente adeguate.
Come, ad esempio, quella che indichiamo nella foto a lato: con ringhiera a tutto piano, invece che quelle in uso al Policlinico di Catania.
E perché ci permettevamo di segnalarlo?
Semplice.
In strutture come un Policlinico Universitario ci sono ambienti in cui si possono creare situazioni ad alto rischio: un esame andato male, una discussione con un professore o collega, una diagnosi infausta e sconvolgente.
Insomma, cose che se accadono a persone particolarmente fragili che si trovano al settimo piano su una scala con ringhiera di un metro e venti, rischiano di trasformarsi facilmente in tragedie irrimediabili.
Se invece quella scala avesse ringhiera intera, il tempo di scendere, salire o rientrare magari consente che si cambi idea.
Attribuire il fatto accaduto alla presunta “intenzionalità”, come affermano nella nota, è semplicemente cinico e feroce, non degno di chi, per dovere d'ufficio, è chiamato a prevenire anche gesti insani, non a rammaricarsi.
Non c'era quindi niente da polemizzare e pertanto la replica della direzione generale la rimandiamo al mittente direttore generale che in pensione non vuole andare.
Chiarito questo, però, la vicenda si complica perché accade altro.
A verificare i luoghi si è infatti recato il nostro Christian Costantino, al quale come si legge a seguire e si evince dal video, è stato impedito di svolgere il proprio ruolo, prima da un vigilantes privato che si è permesso di chiedergli i documenti ed identificarlo non si capisce a che titolo e con quale autorità, e poi dalle forze dell'ordine sollecitate dalla stessa direzione che chissà cosa temeva.
Ovviamente la zona che il nostro collaboratore intendeva visionare era assolutamente accessibile, senza alcun avviso restrittivo e senza alcun sigillo. Questo è quello che fa un giornale, non certo limitarsi a riportare veline più o meno interessate.
E infatti si scopre l'inghippo: al settimo piano di quella scala, esattamente il piano da cui è caduta la ragazza, adiacente alla ringhiera si trova in terra una plafoniera di circa 20 centimetri di altezza, con evidenti orme di scarpe.
Non siamo in grado di dire se quella pedana fa si che l'altezza della ringhiera diventi così inferiore a quella minima richiesta dalle norme di sicurezza, ma di certo è un aspetto inquietante della vicenda.
Noi ci limitiamo a chiedere che, in certi luoghi, le misure di sicurezza siano più rigide persino delle norme; come sulla circonvallazione proprio davanti al Policlinico, dove i nostri studenti vengono ammazzati da auto pirata perché nessuno ha testa di trovare una soluzione, tipo montarci un banalissimo cavalcavia. (Pierluigi Di Rosa)
E adesso, a seguire, il video e la ricostruzione di Christian Costantino:
Quando si fa giornalismo di inchiesta, è concesso utilizzare metodi poco ortodossi.
Se bisogna indagare su un fatto, per quanto banale possa sembrare il responso, bisogna cercarne le origini o trovare qualcosa che vada oltre la sola cronaca.
Questo lavoro, evidentemente, ha dato fastidio.
Mercoledì 10 aprile, il giorno dopo che è avvenuto l’incidente della ragazza, si voleva fare chiarezza non sull'origine della morte della ragazza, ma se quelle scale fossero a norma.
Molti hanno voluto liquidare la questione con l’equivalenza:
"32 anni fuoricorso = suicidio = normalità"
Se la ragazza ha deciso di levarsi la vita, bisogna rispettare la sua scelta e non bisogna fare gli sciacalli su questo.
Ma se a quel settimo piano, a cui tutti hanno accesso (sia prima che dopo l’incidente) e dove ci sono raffiche di vento ben più sostenute di quelle ad un piano terra, vi sono oggetti che ingombrano la già piccola scala e permettono un affaccio più agevole, è un sacrosanto dovere giornalistico poterlo gridare e far sì che si faccia qualcosa.
L’oggetto, come si vede in foto, è una plafoniera alta circa 15 centimetri o più, che sostava proprio da dove la ragazza è sfortunatamente caduta, volontariamente o meno.
Dalla differenza di ruggine che vi era sotto questa e la ruggine aperta, vi è una vistosa differenza che, apparentemente, suggerisce una sosta dell’oggetto da mesi, se non anni.
Su questa vi erano alcune impronte di scarpa, una misura piccola che sembrava essere impressa di recente.
Il punto qui non è capire il perché la ragazza si è tolta la vita, ma accertarsi che questo non sia stato un disgraziato incidente, per questo bisogna sollecitare la scientifica per fare luce sulla questione.
Arrivato lì per prendere le misure della ringhiera ed accertarmi che fosse più alta del regolare metro, un vigilante si appresta a farmi scendere.
Ma diverse persone su quella scala fumano sigarette, passeggiano e scendono.
A quanto pare un medico, accorgendosi degli accertamenti che stavo facendo, ha scattato una mia foto da molto lontano che è stata inoltrata alla vigilanza.
Questa foto è stata poi mandata per email alla questura.
“Non puoi fare foto né prendere misure”.
A quanto pare il policlinico, punto in banco, non appena arrivano dei giornalisti di inchiesta, si trasforma nell’Area 51.
Una volta arrivata la polizia, non perdono tempo ad accusarmi di aver inquinato delle prove:
- nessun sigillo era posto sul luogo dell’incidente
- Molte persone salivano e scendevano da quelle scale
- Non c’era nessuna traccia che i carabinieri fossero stati lì.
Trattato come un terrorista (armato di un metro a nastro) quando si voleva far luce non sulla motivazione di un suicidio, ma se vi fossero i presupposti perché possa avvenire un incidente e scambiarlo per altro.
Ripetiamo, si voleva far luce non sulle motivazioni di un possibile suicidio, perché fare questo significherebbe accanirsi sulla ragazza, ma capire quanto degli oggetti posizionati su delle scale di emergenza possano mettere a repentaglio la vita di una persona.
La figura barbina della polizia e del direttore del policlinico nell’ avermi accusato di essere in un posto dove non dovevo essere, per poi dopo ore dirmi “Lei non ha commesso nessun illecito”, si commenta da sola. (Christian Costantino)
Leggi anche: