Nel 1980 viene pubblicato "Il nome della rosa", libro ambientato nel 1327, tradotto in 40 lingue e con 50 milioni di copie vendute. Best seller, cult e capolavoro di un… capolavoro di intellettuale, Umberto Eco.
Ma c'è un errore, piccolo, quasi insignificante nell'opera, e fa quasi ridere a chi, o meglio, a cosa sia imputato:
Viene portato un piatto alla tavola dei monaci benedettini: carne di pecora condita con un sugo di peperone.
"Un medievalista del calibro di Umberto Eco non sapeva che il peperone sarebbe stato importato in Europa anni dopo il 1500?"
No, non lo sapeva.
Ma un uomo dall'intelletto fino come Eco avrebbe potuto giocarsi la carta dell'anacronismo voluto (cosa che utilizza all'interno del romanzo) e farla in barba a tutti.
Con gran coraggio, però, Umbertone stoicamente ammette l'errore, facendo poi uscire un'edizione corretta.
Non mancarono grandi storici, professori ed intellettuali che criticarono la svista di Eco, canzonandolo bonariamente o con lingua biforcuta.
Questo piccolo aneddoto ci verrà in aiuto più tardi. Veniamo a noi.
L'errore certamente è una livella. Sbagliano ricchi, intellettuali, ignoranti, politici, qualunquisti, poveri, ecc.
Ma cosa significa "errore"? Treccani è chiaro:
errore: s. m. [dal lat. error -oris, der. di errare «vagare; sbagliare»]
Vagare. E se attenzioniamo ancor di più questa parola?
vagare: v. intr. [dal lat. vagari o vagare "errare, essere vagante"]
Le due cose corrispondono.
Dunque notiamo che, se vagare chiama errore ed errore chiama vagare, nessuna delle due parole chiama derisione.
Le recenti vicissitudini legate al ragazzo, per il quale, forse a causa del troppo stress, dell'emozione o per legittima confusione sull'argomento, la Divina Commedia sarebbe scritta da Garibaldi e non da Dante, hanno creato parecchia rabbia e, neanche fosse l'autore del crac Parmalat, è cominciata una bufera contro il povero studente.
Telegiornali, giornali, giornalisti ed opinionisti che si infuriano (con il benestare della comunità del web) per l'errore.
C'è altro?
Potremmo concludere così l'articolo e fare quello che hanno fatto in molti: riportare la questione e deridere il ragazzo, o meglio, tutta una generazione di ragazzi.
Invece no, noi faremo un lavoro diverso: cercheremo di capire il perché della rabbia e dell'indignazione per un errore così piccolo da parte di persone che, come avvoltoi, si appostano per poter banchettare sul cadavere del più debole.
Si immagini anche solo per un secondo come si debba sentire quel ragazzo, preso in giro non solo da scimmie che hanno imparato ad usare la tastiera, ma persino dai giornalisti, giornalisti che in qualche modo dovrebbero tutelare l'errore di un ragazzino, giornalisti che fanno il favore del Ministro Sangiuliano quando commette (lecitamente) un errore, salvo poi fare ironia su un ragazzo che, probabilmente, non riesce a gestire lo stress da errore come un personaggio pubblico.
Gli stessi giornalisti che ripuliscono l'audio dai fischi che vengono fatti al Taobuk per il ministro e che, perdonate il linguaggio, sputtanano l'errore di un ragazzetto.
Per questo ci si dovrebbe inalberare, per questo ci si dovrebbe infuriare.
Ma qui il punto non è l'errore del ragazzo, di Sangiuliano o di Umberto Eco, ma di come noi comuni mortali ci sentiamo meglio quando una persona sbaglia.
Per sentirci più intelligenti, migliori, più eruditi magari, vengono fuori frasi poco felici:
"Bocciatelo" "Vergogna" "Ai miei tempi...".
Vedete poi qual è il vero problema? Che il dibattito dovrebbe vertere sul perché quel ragazzo ha sbagliato, su chi lo ha reso edotto sulla Divina Commedia e, soprattutto, quanti tagli sono stati fatti nelle scuole e quanti ne verranno fatti ancora.
L'istruzione e l'informazione sono facilmente accessibili, è vero, ma questo non significa che tutti abbiano le stesse opportunità o capacità di assimilare e comprendere tali informazioni.
Ogni individuo ha un contesto, esperienze e difficoltà che sono proprie ed influenzano il suo percorso educativo.
Il caso del ragazzo che ha confuso Dante con Garibaldi è emblematico di un problema più profondo: il modo in cui il sistema educativo e la società nel suo complesso gestiscono gli errori.
Anziché utilizzare l'errore come un'opportunità di crescita e di apprendimento, viene spesso utilizzato come un'arma di derisione e umiliazione.
Questo atteggiamento non solo demotiva chi ha commesso l'errore, ma crea anche un ambiente in cui la paura di sbagliare inibisce la curiosità e l'apprendimento.
Indipendentemente dall'errore, cerchiamo di essere più indulgenti e di non diventare rossi e rabbiosi, come peperoni.