«Le case di cura private si confermano ‘asso pigliatutto’ dei fondi regionali. L’assessorato alla Salute aumenta il budget per la riabilitazione, ma continua a dimenticare i centri riabilitativi, che attendono da anni l’adeguamento delle rette per le prestazioni», questo l'incipit del comunicato emanato nel pomeriggio di ieri da alcune delle più importanti associazioni di categoria in reazione al decreto 720 dell'8 agosto, emanato dall'assessore alla Salute Ruggero Razza a pochi giorni dal rinnovo di tutti gli organi elettivi regionali.
«Siamo agli sgoccioli della diciassettesima legislatura regionale, con le elezioni alle porte, e l’assessorato alla Salute emana un decreto con cui assegna un cospicuo aumento di budget e prestazioni, a beneficio esclusivo delle case di cura private.
Una mossa che avvantaggia solo alcuni, a danno di tutte quelle realtà che non sono case di cura, ma che operano da decenni nel settore della riabilitazione e costituiscono imprescindibili presidi di salute sul territorio».
La denuncia gravissima arriva dai presidenti delle associazioni di categoria Confcooperative Sicilia, Confcooperative Sanità, Uneba Sicilia, CORESI-AIAS, rispettivamente Gaetano Mancini, Adolfo Landi, Santo Nicosia e Armando Sorbello, che rappresentano enti riabilitativi e assistenziali siciliani, cosiddetti “ex art. 26”, contando una forza lavoro di migliaia di operatori e un bacino di altrettanti utenti con disabilità.
«Con il decreto assessoriale n. 720 dell’8 agosto scorso, pubblicato in Gurs, vengono autorizzati trattamenti ambulatoriali di fisioterapia e altre specializzazioni affini, per importi tariffari che variano da 90 a 170€ – spiega Gaetano Mancini –; si tratta di cifre notevoli, che assicurano alle case di cura private ampi margini di guadagno, con cui sostenere l’assunzione di alte professionalità sanitarie e assorbire, in regime di oligopolio, l’utenza attualmente in carico presso i centri di riabilitazione».
Gli fa eco Adolfo Landi: «Tale decreto crea condizioni di concorrenza sleale ed è concreto il rischio, per gli ex art. 26, di trovarsi sguarniti sotto il profilo professionale: si verificherà certamente un travaso di operatori verso le case di cura, allettati da condizioni contrattuali ed economiche che i cdr, impoveriti dal mancato adeguamento delle rette per le prestazioni erogate, non potrebbero mai sostenere».
"Una mossa, questa dell’assessorato regionale alla Salute, che svuota di valore e contenuti l’attività ultracinquantennale dei centri di riabilitazione per persone con disabilità."
La interpreta così Santo Nicosia, che mette l’accento sull’aggravamento delle difficoltà patite dalle realtà assistenziali, complice la pandemia: «Non solo l’emergenza Covid, cui, pur con grandi disagi, abbiamo fatto fronte con lo spirito di servizio che ci contraddistingue. Adesso, con queste nuove disposizioni assessoriali, siamo costretti a fare i conti, da un lato, con un ingiustificato allargamento delle maglie, a beneficio di pochi top player; dall’altro, con una prevedibile emorragia di personale e assistiti. I centri di riabilitazione che rappresentiamo non operano a scopo di lucro e, senza il necessario sostegno del Servizio sanitario, non possono migliorare e ampliare l’offerta».
Di “disparità di trattamento”, nei confronti degli enti ex art. 26, parlano anche 45 centri di riabilitazione AIAS, e i loro consorzi presenti in tutte le provincie siciliane, rappresentati da Armando Sorbello: «Ci occupiamo, da oltre 50 anni, di riabilitazione di soggetti fragili, erogando servizi di qualità alla nostra utenza. Da quasi 20, chiediamo a gran voce, inascoltati, il necessario adeguamento delle rette per le prestazioni, cosa che si riflette negativamente sui livelli occupazionali e retributivi, creando evidenti disparità di trattamento tra gli operatori del settore».
Le associazioni di categoria chiedono un incontro urgente con l’assessore Razza: «Riteniamo inaccettabile – concludono i presidenti delle sigle – che i centri di riabilitazione vengano tagliati fuori da operazioni così sbilanciate».