
Dalla pagina FB dell'avvocato catanese Rocco Todero, raffinato giurista ed intellettuale liberale di solida struttura, raccogliamo e proponiamo una riflessione non da poco in tempi di caciara.

La revisione del processo penale per Olindo e Rosa.
La possibilità di procedere ad una revisione di una condanna penale, sopratutto quando si tratta di reclusioni di lunghissima durata, mi trova quasi sempre favorevole e non già per un sentimento di umanità, quanto per un radicato realismo scettico.
Nel nostro ordinamento i processi penali si concludono, solitamente, dopo tre gradi di giudizio (due di merito ed uno di legittimità), dopodiché si consolida il cosiddetto giudicato.
Il giudicato è una verità processuale che non può più essere contestata se non a determinate condizioni per mezzo dell’istituto della revisione.
La revisione, forse in troppi non lo sanno, è un istituto importantissimo che esiste per ricordarci sempre che l’uomo è fallibile, che non esiste alcuna verità processuale assoluta e definitiva, valida per sempre.
La revisione è l’istituto processuale che ci richiama al dovere della umiltà di esseri fallibili che sono soggetti a commettere errori, a trascurare prove, ad indulgere in valutazione errate.
Il giudicato è un’esigenza pratica dovuta al fatto che non possiamo permetterci un numero indefinito di processi sullo stesso caso, ma non rappresenta e non può rappresentare un atto di presunzione che serve a tutelare una verità processuale come fosse una verità rivelata da Dio (per chi crede in Dio).
La ricerca non ha mai fine, diceva Popper, e nel corso di tutte le fasi che conducono ad una condanna penale gli investigatori, i giudici, i testimoni, gli avvocati, possono commettere (perché essere umani fallibili) un numero spropositato di errori, anche in buona fede.
Non si può mai escludere che una prova determinante non abbia trovato ingresso nel processo, non si può mai escludere che una confessione sia stata estorta, non si può mai escludere che gli esseri umani abbiano commesso un errore.
Per questo se risultano comprensibili le critiche alla revisione da parte delle vittime o dei loro parenti, appaiono davvero preoccupanti i pregiudizi di giuristi, esperti ed opinionisti sulla opportunità di una revisione processuale tutte le volte che sussistono sufficienti dubbi che autorizzano a ripercorrere la ricerca di una verità che, per definizione epistemologica, è sempre precaria e suscettibile di essere rettificata da nuove acquisizioni.
Certo, devono sussistere elementi sufficienti per radicare il dubbio che la verità processuale possa non reggere più alla scoperta delle nuove prove o al riesame degli errori commessi in precedenza.
Ma una avversione precostituita, un pregiudizio immotivato nei confronti della “revisione” rappresentano una presunzione fatale che nessun essere umano ha il diritto di sostenere.
Il processo è un’attività umana e gli uomini sono fallibili.
La verità è qualcosa alla quale, il più delle volte, ci si può avvicinare con approssimazione sempre migliore.
Ma la verità definitiva è qualcosa da prendere sempre con le dovute cautele.
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