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Adrano, operazione antimafia, 39 fermati: Sodalizio tra clan Scalisi-Santangelo

11-07-2017 03:35

redazione

Cronaca, antimafia, clan, mafia, costituzione parte civile, Orazio Barbagallo,

Adrano, operazione antimafia, 39 fermati: Sodalizio tra clan Scalisi-Santangelo

I malviventi fermati appartengono al clan Scalisi di Adrano, e a tutti è contestata l'aggravante di associazione armata, associazione per delinquere f

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I malviventi fermati appartengono al clan Scalisi di Adrano, e a tutti è contestata l'aggravante di associazione armata, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio, tentato omicidio, estorsione, rapina, furto, ricettazione, reati in materia di armi, danneggiamento seguito da incendio. Di grande importanza, nell'attività di spaccio, l'accordo trovato con il clan Santangelo, che vendeva loro gli stupefacenti, e legato storicamente alla famiglia di Cosa Nostra catanese dei Santapaola - Ercolano, a suggellare una "pax mafiosa", dopo anni di tensioni altissime sfociate quasi in una guerra di mafia, bloccata sul nascere dalla Dia di Catania

 

 

Ecco i nomi degli arrestati: Giuseppe Scarvaglieri (classe 1968), Pietro Maccarrone (1969), Alfredo Mannino (1964), Claudio Zermo (1980), Salvatore Saverino (1979), Pietro Saverino (1957), Salvatore Di Primo (1991), Biagio Mannino (1987), Alfredo Bulla (1984), Alessio La Manna (1988), Massimo Merlo (1972), Roberto Alongi (1976), Antonino Furnari (1996), Agatino Leanza (1994), Antonino Leanza (1996), Carmelo Scafidi (1967), Nicola Santangelo (1976), Agatino Perni (1977), Giuseppe Maccarrone (1988), Pietro Castro (1997), Vincenzo Valastro (1995), Vincenzo Pellegriti (1994), Salvatore Scafidi (1997), Sebastiano Salicola (1989), Giuseppe Sinatra (1995), Angelo Bulla (1975), Mauro Giuliano Salamone (1991), Angelo Calamato (1980), Giuseppe Pietro Lucifora (1977), Alfio Lo Curlo (1992), Maurizio Amendolia (1969), Alfredo Pinzone (1964), Massimo Di Maria (1978), Emanuel Bua (1990). Oltre questi, altri tre sono sono destinatari della misura cautelari ma irreperibili perchè già all'estero.

 

 

 

 

Di rilevanza fondamentale, il ruolo di Giuseppe Scarvaglieri, definito "autorità suprema" nella gestione di tutte le attività criminali del gruppo, malgrado si trovasse in carcere da tempo, egualmente dirigeva il clan con lettere e messaggi ai sodali. Lo stesso Scarvaglieri, insieme ad Afredo Bulla e Alessio La Manna, è inoltre destinatario di una seconda misura cautelare, oltre a quella relativa all'associazione di stampo mafioso, perchè ritenuto responsabili del tentato omicidio di Francesco Coco, attualmente detenuto, giovane emergente del clan Scalisi e temuto evidentemente dal boss.

 

 

 

 

L'operazione "Illegal Duty", a seguito dell'attività investigativa della DDA ed eseguita dalla Squadra Mobile di Catania e dal Commissariato di Adrano, anche grazie ad alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ha consentito di disarticolare la cosca Scalisi di Adrano, legata alla famiglia mafiosa Laudani di Catania, decapitandone non solo i vertici, ma anche la manovalanza e le nuove leve che con efferatezza oltre ai consueti atti di natura mafiosa, ponevano in essere attività collaterali come furti, rapine e ovviamente traffico di droga.

 

 

 

 

Le indagini, che riguardano l'arco temporale che va dal 2014 al 2016, hanno consentito di accertare come la “famigliasottoponesse sistematicamente ad estorsione la gran parte delle attività commerciali del territorio adranita, in primo luogo il mercato ortofrutticolo. Non solo, perchè tutti i fornitori soprattutto di generi alimentari, quali uova e carni, erano costretti a pagare un vero e proprio dazio per poter avere accesso al paese. Sono state poi riscontrate un numero ingente di estorsioni, più di una ventina solo quelle contestate.

 

 

 

 

Gli uomini del clan intercettavano i carichi tramite controllo del territorio, imponendo la "tassa"da pagare, in percentuale a ciò che veniva trasportato e alle quantità vendute. In caso di rifiuto, venivano poi messe in atto rappresaglie con bottiglie incendiarie e aggressioni armate. Raramente accadeva che qualcuno si opponesse, anzi, non sono state riscontrate denunce in questo senso, per una totale omertà da parte delle vittime, che pagavano senza batter ciglio ed anzi venivano poi costretti con la forza a versare un "pizzo" sempre più alto.

 

 

 

 

Emblematico il caso di un commerciante cinese, bloccato a Santa Maria di Licodia nel 2014, e ferito a colpi d'arma da fuoco ad una gamba per aver reagito, prima di essere derubato di 200,000 euro.

 

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