SudStyle. è la testata del gruppo Sudpress che si occupa di Arte, Cultura, Spettacolo ed è diretta dal giornalista milanese Aldo Premoli.
Con Premoli conduciamo spesso insieme il Talk in diretta della domenica mattina, ed altrettanto spesso non siamo d'accordo.
Come stavolta.
Qualche giorno fa abbiamo dato notizia dell'iniziativa artistica della Banca d'Italia che ha realizzato un grande murale sulla facciata della sua sede catanese, ai confini del devastato quartiere San Berillo Vecchio.
L'abbiamo valutata positivamente, molto positivamente.
Al di là della questione estetica, che è sempre opinabile, il messaggio che lancia proprio su quel quartiere è estremamente importante, e che lo faccia un'istituzione così austera come la Banca d'Italia risulta ancora più significativo.
Basta dare una scorsa agli articoli in calce per rendersi conto di cosa si parla quando il tema è San Berillo Vecchio, probabilmente il più colossale scandalo cittadino che è la prova più schiacciante della totale inadeguatezza delle istituzioni locali.
Quella macchia di colore artistico è una vera e propria provocazione positiva non solo al degrado del quartiere, ma soprattutto alla dolosa, probabilmente anche criminale inerzia di chi avrebbe il dovere di intervenire e non fa.
Sulla testata consorella invece, Sudstyle appunto, l'opinione è decisamente diversa, anzi proprio avversa e ci fa piacere che si possa aprire un dibattito, che per quanto a noi di Sudpress pare più ideologico che altro, tuttavia è un buon segno, magari potrebbe certificare che comunque anche a Catania qualche neurone prova a dare segni di esistenza in vita, magari sbagliando bersaglio ma sempre vita è.
Quindi riportiamo integralmente quanto pubblicato dal direttore Premoli, che non condividiamo in niente, in nessuno dei quattro interventi, neanche nella punteggiatura, ma ci auguriamo comunque che possano essere questi i dibatti in città, su iniziative che hanno come obiettivo seminare spunti di confronto, speranza e resistenza.
Aldo Premoli nell'incipit dell'articolo scrive: L’edificio del Banca d’Italia in Piazza della Repubblica a Catania è un esempio, non così comune tanto in Sicilia che nel resto della Penisola, di architettura brutalista.
Prevede, infatti (anzi prevedeva) una facciata completamente monocolore pensata per interrompere l’insieme particolarmente mosso che è caratteristico di questo stile architettonico.
Lo scorso 6 dicembre però questa logica è svanita al seguito di un intervento “decorativo” sconcertante: un gigantesco murale per cui sono stati utilizzati centinaia chilogrammi di vernice dai colori squillanti.
Si tratta di un’ opera dell’artista romana Capobianco commissionato da Banca d’Italia per la filiale catanese e scelto dopo valutazione di più progetti da parte di una commissione di cui hanno fatto pare (ma sarà vero?) membri dell’Accademia di Belle Arti di Catania.
Prima di spiegare perché ho usato il termine (eufemistico) “sconcertante” devo fare una premessa.
Personalmente non ho niente contro il muralismo. Anzi. Sono personalmente amico di muralisti siciliani e non e nel mio lavoro di comunicatore seguo assiduamente le loro imprese. Ho raggiunto nei luoghi più disparati del pianeta opere di questo genere che mi hanno lasciato senza fiato: a Venezia come a Caivano, a Gerusalemme come a New York, a Milano come a Parigi.
Giudico però questo “telero” di 700 metri quadrati molto negativamente. 1. Non solo è un ‘opera opinabile dal punto di vista “decorativo” 2. è un incomprensibile sfregio all’architettura del palazzo 3. pare più frutto di leggerezza piuttoro che considerazione nei confronti di un luogo “sensibile” come San Berillo su cui grava: a San Berillo i murales non sono mai mancati ma questo gigantesco tabellone non sembra averli considerali in alcun modo.
Però. Poiché il mio approccio globalista all’arte avrebbe potuto trarmi in inganno ho voluto confrontarmi con l’opinione di un architetto, un artista e un gallerista: tutti appassionatamente catanesi.
Li ho consultati perché nel campo dell’arte contemporanea li ritengo dei “savant”, gente dotata di ampie conoscenze e lunga esperienza.
Sono persone che stimo, anche per altre caratteristiche: hanno cuore oltre che cervello. E anche quel po’ di coraggio che serve per esprimere con pacatezza, ma senza mezzi termini quel che pensano. Con un occhio rivolto sempre e comunque al bene della loro città.
Qui si seguito le loro considerazioni:
GIANLUCA COLLICA (gallerista). Il “murale” della Banca d’Italia a Catania è discutibile … dei murales ha infatti ben poco. Una tecnica nata in Messico con una forte connotazione politica e popolare, che qui non riscontro, dato che è la Banca a commissionarlo, un Istituto che di popolare ha proprio nulla … L’opera della Capobianco, peraltro, non si avvicina neanche alle forme derivate della street art … non ho mai visto Bansky lavorare in un cantiere autorizzato dal Comune… Mi duole dirlo, ma è solo irrispettosa decorazione urbana e chi lo ha commissionato non ha la minima idea dello scempio che, in buona fede, ha commesso. La decorazione in questione non rispetta e cancella l’architettura brutalista con la quale pretende invece di dialogare avvolgendone un intero segmento. Hanno insomma rifatto la facciata … e hanno sbagliato il colore, cancellando volumi importanti del progetto architettonico … messaggio sociale pari a zero… ci si dovrebbe fare sempre tante domande prima di intervenire su ciò che ha una valenza pubblica, anche quando si tratta di un edificio dallo stile a molti indigesto, ma ineccepibile architettonicamente.
GIOVANNI LEONE (architetto). Gli architetti (come gli artisti) peccano di ‘riservatezza’: non si raccontano, non spiegano logica e senso dell’architettura. Introduciamo alcune nozioni. Partiamo dalla nozione di composizione, è la prima fase del processo creativo e consiste nella disposizione di pesi e misure nel campo di pertinenza (sia esso un testo letterario o architettonico, uno spartito, un quadro…). Le scelte compositive determinano la modulazione architettonica dei piani (le facciate) e dei volumi (il volume). Chiariamo poi la differenza tra decorazione e ornamento. Nell’ornamento (che è componente integrata e ineludibile dell’organismo architettonico) forma e funzione sono distinte ma convergenti, a differenza della decorazione la cui funzione è la forma stessa, il primo è forma d’essere mentre la seconda è forma dell’apparire. Nel caso dell’edificio della Banca d’Italia, progettato dall’arch Cesare Blasi con l’introduzione del nuovo murale viene a mancare il piano netto che consentiva di esaltare la vibrante sonorità della modulazione architettonica della superficie (come il silenzio in musica) creando una ridondanza, una risonanza di suoni.
FEDERICO BARONELLO (artista). Qualche giorno dopo esser passato a fianco della filiale catanese della Banca d’Italia, durante i lavori di realizzazione del grande murale di Chiara Capobianco, mi sono trovato a discuterne con amici “street-artist”, per la verità molto attenti al fatto che i loro lavori – anche questi solitamente di grandi dimensioni – siano a suggello di più reali opere di riqualificazione urbana (parchi giochi, uscite delle scuole…). Ne è emerso che quello della committenza non è un dettaglio irrilevante: e in questo caso sovverte un’istanza dal basso che finisce, al contrario, soffocata dai poteri economici e politici ai vertici della scala decisionale. Infatti, se ci chiediamo qual è il contesto di questo murale dobbiamo indagare questioni le cui radici ci portano indietro nel tempo; praticamente al secondo dopoguerra e al fantomatico sventramento del popoloso quartiere di San Berillo. Dobbiamo insomma riflettere sul luogo dove insiste l’edificio in stile brutalista della filiale. Costruito negli anni ’70, l’edificio da il retro (dove è dipinto il murale) sulle rimanenze del quartiere sventrato, mentre la facciata principale fronteggia il palazzo che determinò lo scempio – che ancora persiste – di una presunta “riqualificazione” urbanistica. Quella che prevedeva un lunghissimo boulevard dalla Fornace di Sant’Agata e dall’anfiteatro romano giù fino al mare e alla stazione ferroviaria centrale. Insomma l’odierno Corso Sicilia spezzato e ricongiunto poi a “L” con quel Corso dei Martiri che scorre in mezzo alle voragini mai ricoperte che fanno di questa parte di Catania, insieme alle rovine del vecchio quartiere: una vera e propria periferia al centro della città! Dunque questo murale oltre a deturpare la coerenza stilistica di uno degli esemplari di architettura cosiddetta brutalista più importanti d’Italia non è altro che una semplice operazione di cosmesi che prova a mettere una pezza a un buco che invece è il segnale della profonda inadeguatezza delle classi politiche e dirigenti che si sono succedute negli anni a Catania. Mi chiedo se sono consapevoli di queste considerazioni, le signore e i signori della Sovrintendenza che occupano i locali proprio di fronte al retro oggi “imbellettato” della Banca d’Italia?
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