La città di Catania è invasa da cartelloni e totem che pubblicizzano una mostra dal titolo più che accattivante, tirando in ballo una delle figure più iconiche dell'arte visiva: Caravaggio.
La questione diventa allora quanto ci sia effettivamente di Caravaggio nei locali della pinacoteca comunale di Catania di via Castello Ursino.
Si sa che i catanesi hanno un animo combattivo, ma pure un grande cuore.
E così hanno accolto senza battere ciglio anche la mostra dedicata a Caravaggio.
Dallo scorso 2 giugno per tutta l’estate presente nella nuova Pinacoteca Comunale ricavata negli spazi dell’ ex Monastero di Santa Chiara.
“Caravaggio. La verità della luce”: questo il titolo.
Di mostre che nel titolo utilizzano il soprannome di Michelangelo Merisi (nato a Milano ma cresciuto nella vicina Caravaggio) ce ne sono state negli ultimi anni a decine.
Con una speciale concentrazione proprio in Sicilia.
Caravaggio del resto è un nome popolarissimo, si tratta di una vera superstar, un caso unico per un territorio come quello dell’arte antica.
La sua vicenda anche di recente è stata raccontata in un film dove non sono mancati accenti noir e persino erotici: a interpretarlo Riccardo Scamarcio diretto da Michele Placido (L’ombra di Caravaggio, 2022).
Insomma Caravaggio proprio come Andy Wharol o Banksy (che anche lui a breve arriverà a Catania, con la stessa organizzazione che ha portato questa caravaggiescata, e andremo a vederlo) è un nome universale.
Spendibile, spendibilissimo al pari di una borsa di Gucci o di foulard di Hermes.
Ci sono brand o personalità che travalicano la loro reale essenza: anche se non segui il calcio tute le domeniche non puoi non aver mai sentito parlare di Maradona.
Quindi se vuoi fare cassetta e dimostrare che “con la cultura si mangia” (e magari anche bene) metti nel titolo di un’esposizione il nome Caravaggio e vai sul sicuro.
Nello specifico questo tpo di operazioni hanno un nome codificato: si chiamano mostre blockbuster.
Le carateristche fondamentali qui non sono il contenuto scientifico e nemmeno l’intento pedagogico, ma il lecito (perché è lecito) guadagno ottenuto puntando sulla buona fede dei meno esperti.
Questo la teoria, ma veniamo ora alla pratica.
In “Caravaggio. La verità della luce” di tele del Merisi ce ne sono sei.
Non tredici o trenta, avete letto bene: sei.
Le altre 33 opere esposte, peraltro dislocate in due corridoi stretti e lunghi piuttosto angusti, sono - cito testualmente - frutto di “caravaggismo” cioè di lavori di pittori “caravaggeschi” più o meno bravi magari, ma che di certo non sono Caravaggio.
Ci dovremo dunque accontentare di queste sei. Però.
C'è un però.
Ed infatti sono gli stessi organizzatori che nel catalogo della mostra ammettono la dubbia origine dei Caravaggio esposti se non addirittura l'evidente “copia”, peraltro neanche di prticolare pregio.
Il San Sebastiano che appare anche sulla locandina della mostra viene presentato a Catania come il pezzo forte dell’intera esposizione.
E magari lo è davvero.
Lo considerano autografo alcuni storici mentre altri lo respingono.
Roberto Longhi era fra questi.
Di certo si sa che ne esistono almeno tre copie una delle quali in una collezione privata di Roma a mano di Martin Faber.
Anche Il “Cavadenti” è una tela per cui l'attribuzione al Caravaggio è contestata.
L’opera giunta a Catania è di proprietà della Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
Dal 1925 è in deposito a Palazzo di Montecitorio in Roma. Evelina Borea nel 1970 lo classificava come opera di un "ignoto imitatore del Caravaggio", con rapporti soprattutto tematici con la pittura olandese. A metà degli anni Ottanta critici di altrettanto valore propongono l'attribuzione di quest’opera a Caravaggio stesso, in una fase vicina al periodo maltese. Molte le copie sparse per il mondo.
Il “Ragazzo morso da un ramarro” proviene invece da una collezione privata.
Difficile poter dire che sia stata dipinta proprio da Caravaggio, altrettanto difficile negarlo.
Di questo dipinto esistono almeno altre due versioni molto più conosciute, ma anche in questo caso per la prima, conservata alla Natonal Gallery di Londra si presume sia una copia, mentre è certa invece quella conservata alla Fondazione Longhi di Firenze.
L'attribuzione di un’ opera d’arte è da sempre un meccanismo complicato.
Di Caravaggio nel mondo intero si contano più o meno 100 opere certe che i Musei prestano con grande difficoltà e molto difficilmente arriverebbero a Catania, per di più in esposizioni come quella attuale, senza alcuna protezione o sicurezza adeguata se fossero davvero i capolavori indicati: nel 2020 a Milano con grade sforzo ne sono state esposte 18.
C’è un particolare che va tenuto in considerazione.
Che si tratti di opere di certa o incerta attribuzione, il numero di esposizioni ufficiali che un quadro colleziona ne accresce il prestigio e la credibilità: avvalora di conseguenza la crescita del suo valore finanziario.
Un passaggio che sfugge ai più ma che gli addetti conoscono molto bene.
Il mercato dell’arte ha le sue regole come qualsiasi altro commercio.
Mostre, gallerie, case d’asta sono un circuito integrato dove circolano denari in grande quantità.
Per certi aspetti un’opera d’arte può essere paragonata a un prodotto finanziario, tanto è vero che nel maggio scorso del problema se ne è occupata persino la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), l’autorità che vigila sui mercati finanziari sbarrando la porta a società che con poca limpidezza agiscono in questo segmento di mercato.
Per tornare a noi Michelangelo Merisi detto il Caravaggio è stato un artista immenso, la sua biografa lo descrive come un uomo passionale, forse violento (o forse solo perseguitato dalla sfortuna) mai però come un giocherellone.
I giochi (di prestigio) si ravvisano piuttosto nel titolo della mostra catanese dove il suo nome viene utilizzato come esca.
A “Caravaggio. La verità della luce ” però i patrocini non mancano.
Ministero della Cultura, Presidenza Commissione cultura della Camera dei Deputati, Assemblea Regionale Siciliana, e il Comune di Catania fanno da corona ai produttori che sono l’Associazione Metamorfosi e Demetra Promotion, dove spicca la figuraa dell'amministratore delegato Gaetano Sanfilippo, noto alle cronache locali e su cui ritorneremo.
Tanta roba per 6 lavori di non concorde attribuzione rappresenta il solito irredimibile modus operanti delle “istituzioni” siciliane, da Cannes in giù o in su che dir si voglia.
Operazioni che, se vogliamo, vengono aggravate dalla consuetudine di coinvolgere le scuole, che caricano migliaia di studenti nei pullman come fossero carri bestiame per andare a vedere mostre che poi si rivelano mostri: se prometti di offrire Caravaggio, devi offrire Caravaggio!
Comunque: Costo del biglietto 15 euro, 12 per i residenti a Catania, 10 euro biglietto ridotti, 8 biglietto per bambini da 6 a 12 anni.
Magari da andare a vedere, anche solo per capire come non dovrebbe farsi una mostra e chiedere all'amministrazione comunale perché fa queste cose: si sa che i catanesi hanno un grande cuore e pure un senso dell’ironia difficile da trovare in altri luoghi dell’isola.
Ps: per scrivere questo articolo ci siamo avvalsi della consulenza di un esperto che preferisce rimanere riservato, mentre nei prossimi giorni approfondiremo con un altro che ci spiegherà meglio di che si tratta.
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