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Gestire la maternità nel contesto lavorativo: l'approccio di una madre moderna..di 5 figli

03-03-2024 05:30

Elisa Petrillo

Cronaca, Università, Focus, catania, università, maternità, cristina soraci,

Gestire la maternità nel contesto lavorativo: l'approccio di una madre moderna..di 5 figli

La maternità è una delle esperienze più significative nella vita di una donna, ma può presentare sfide esagerate.

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La maternità è una delle esperienze più significative nella vita di una donna, ma può presentare sfide uniche, soprattutto quando si tratta di bilanciare le responsabilità lavorative. 

 

In un mondo che cambia rapidamente, come riescono le madri moderne a gestire questo delicato equilibrio? 

 

Per approfondire questa domanda, abbiamo parlato con chi sa il valore profondo di essere “mamma”: Cristina Soraci, professore associato di Storia romana all'Università degli studi di Catania, autrice di quattro monografie e di svariati articoli pubblicati su qualificate riviste italiane ed estere, che nel suo curriculum vanta collaborazioni con le università di tutto il mondo, parla quattro lingue e ne comprende sette. 

 

Ha tenuto in diverse città europee conferenze su svariati temi della storia antica rivolti agli specialisti o al grande pubblico.

 

E’ una mamma di 5 figli avuti in 10 anni, e partendo dalla sua esperienza diretta e da una sua riflessione “scritta” sulla maternità, vi raccontiamo le suggestioni e percezioni su come nel mondo contemporaneo si possano affrontare con successo le sfide della maternità nel contesto lavorativo.

 

Non sono una sociologa e non mi sento di formulare ipotesi interpretative al riguardo. 

Sono una mamma e posso dire quello che le persone da me incontrate ogni giorno mi dicono: la maternità viene considerata senz’altro un valore, ma spesso è una meta ritenuta difficile da raggiungere. 

Perché non sempre è possibile avere figli, non sempre è possibile farli crescere in un clima sereno, ma, soprattutto, perché molti credono che non riuscirebbero a conciliare lavoro e famiglia e a trovare abbastanza tempo per sé. 

Si aggiunga un altro fattore, non trascurabile: in genere si pensa che procreare più di uno o due figli significherebbe privarli della possibilità di permettersi alcuni sfizi e, ancora di più, di assicurare loro un percorso di studi fuori città, un master o simili. La questione non è nuova e non riguarda solo le famiglie considerate meno agiate: Musonio Rufo, esponente del neostoicismo romano, è intervenuto a questo proposito: “non potendo addurre la scusa della povertà, ma essendo benestanti e alcuni anche ricchi, osano ugualmente non allevare i figli generati dopo perché quelli nati prima possano disporre di un maggior numero di beni (…), mal sapendo quanto sia meglio avere molti fratelli che molte ricchezze. 

Le ricchezze, infatti, stimolano le insidie da parte di quanti stanno intorno; i fratelli, al contrario, respingono le persone ostili” (Diatriba 15 B); ancora alcuni secoli dopo, nella Milano del IV sec. d.C. il vescovo Ambrogio (ben presto divenuto patrono della città) tuonava contro i ricchi che, “per non dividere il proprio patrimonio tra più eredi, rinnegano le proprie creature nell’utero” (Omelie sull’Esamerone, 5.18.58).

 

Quali sono i pregiudizi e le sfide che le famiglie numerose affrontano nella società attuale?

 

Ho avuto cinque figli in dieci anni: questo ha significato essere in attesa ogni due anni. 

Ogni volta che comunicavo il mio stato interessante a quanti incontravo mi si chiedeva (e la domanda viene spesso ripetuta tuttora…): “A quando il prossimo?” oppure “Ha intenzione di fermarsi?” 

Ho preso l’abitudine di rispondere raccontando la storia di un mio collega di lavoro che mi invitava, in quanto docente di Storia romana, ad avere sette figli come i sette re di Roma… 

Altra domanda che mi si pone spesso è: “Ma sono stati tutti voluti?” 

E qui passiamo a discorsi seri… Cosa significa “volere un figlio”? 

Decidere di concepirlo o decidere di accoglierlo? Quali sfide? Innumerevoli. 

Ma direi che la più importante è quella di dimostrare che l’amore si moltiplica e non diminuisce mai e che avere tanti figli significa avere ricevuto un dono di cui si comprende l’importanza solo col tempo e soprattutto quando non puoi averne o non puoi averne più. 

Ricordo ancora il viaggio in treno con una sconosciuta, quando mi recavo a frequentare un Dottorato in Basilicata; io ero all’epoca ancora fidanzata e non potevo immaginare quale sarebbe stato il mio futuro, ma quella signora, che aveva tre figli, si sfogò con me per raccontare quello che evidentemente era un dolore che non aveva mai superato: aveva deciso di abortire un quarto bambino e nella sua vita ripensava continuamente a quell’occasione mancata… “Adesso che non posso averne più lo vorrei, vorrei quel bambino che non ho voluto allora”.

 

Coraggio e Genitorialità: in che modo si può collegare il concetto di coraggio alla decisione di avere una famiglia numerosa?

 

Il coraggio non è sobbarcarsi l’onere di più lavatrici al giorno, o lavare piatti per una “carovana” (come spesso viene definita la mia famiglia! E siamo “solo” in sette…), o accompagnare i figli in giro per la città per i corsi di pianoforte, i concerti di violino, le esibizioni di clarinetto, le Olimpiadi di Astronomia, le gare di Matematica, le competizioni di Italiano, le gite negli agriturismi o quelle scolastiche… 

Per queste cose non ci vuole coraggio, ci vuole organizzazione e cooperazione, tra coniugi ma anche con i figli. 

Ci vuole, come scrivevo, coraggio per testimoniare a tutti che avere una famiglia numerosa non significa rinunciare a qualcosa, ma avere qualcosa in più. 

Ci vuole coraggio perché la gente non ti crede. 

Nella migliore delle ipotesi pensano che tu sei una supereroina; una volta una collega mi disse una frase cui ripenso sempre con molto dolore: “Io non sono come te!” Perché, come sono io? Sono come tutti gli altri, solo non mi arrendo di fronte alle difficoltà; e questa non è una dote, è una questione di volontà.

 

Come l'esperienza di maternità ha influenzato il suo percorso professionale e accademico?

 

In vario modo. 

Da un lato ogni gravidanza mi ha dato una prorompente energia e fornito nuove idee sul piano scientifico e organizzativo: ricordo ancora quell’articolo scritto in parte in ospedale mentre aspettavo di poter fare uno dei tracciati per il mio quarto figlio che sarebbe nato dopo undici giorni, un articolo in cui esprimevo un’idea totalmente innovativa rispetto alla dottrina in vigore, idea oggi condivisa e citata in pubblicazioni internazionali. 

In secondo luogo, quasi tutte le tematiche da me scelte per le mie pubblicazioni derivano da esperienze di vita vissuta. 

Dal contributo sulla validità (non scontata nel mondo romano!) del matrimonio in assenza di figli (solo dopo tre anni io e mio marito abbiamo avuto la nostra prima figlia) agli studi sull’allattamento e sulla sua durata nel mondo antico; chi allatta sa quanto questa esperienza possa essere bella, appagante e arricchente per una mamma: io ho allattato i miei per uno/due anni. 

In terzo luogo, ho dovuto rinunciare ad alcune conferenze perché in gravidanza non mi sentivo di viaggiare… 

In compenso, però, porto quasi sempre con me i miei figli quando sono invitata a convegni: li ho portati a Parigi, durante la mia permanenza di una settimana per l’Erasmus, a Kiel, a Ginevra, a Vitoria Gasteiz, a Erfurt, a Graz, a Cambridge, oltre che in tutta Italia… 

Loro fanno i turisti con mio marito, io lavoro e approfitto dei momenti liberi per visitare i vari posti.

 

Quali discrepanze evidenzia tra le politiche universitarie ufficiali sull'uguaglianza di genere e la realtà pratica delle madri nel mondo accademico?

 

Sono due mondi quasi paralleli… Dopo molta, molta insistenza, sono riuscita a ottenere di poter tenere lezioni in orari compatibili con i miei compiti di mamma; e questo anche se sono più anziana in ruolo rispetto ad altri colleghi… 

Ma all’Università di Catania anche i diritti non sono dati per scontati e occorre lottare persino per vedersi riconosciuto ciò che spetterebbe anche solo sul piano umano… 

E il Dipartimento cui afferisco è il Dipartimento di Scienze della formazione, frequentato per lo più da donne, professoresse e studentesse, e diretto da una donna, docente di Storia della filosofia antica nonché ex delegata alle Pari opportunità…

 

Quali sono le specifiche sfide che le donne, in particolare le madri, affrontano nel mondo accademico e professionale?

 

Lo dico sempre alle studentesse, alle dottorande e alle giovani colleghe che incontro: l’università è un mondo in cui valgono valori dettati dagli uomini, tra cui efficienza, competizione, produttività. 

Occorre viverci senza rinunciare alla propria femminilità; ciò non significa mettere il proprio corpo a servizio di qualcuno ma offrire il proprio contributo di donne e madri con le proprie specificità.

Le madri possono testimoniare che l’efficienza non è sinonimo di servilismo, la competizione di raccomandazione, la produttività di rinuncia al realizzarsi al di fuori del lavoro.

 

La citazione di Musonio Rufo si connette con l'argomento principale del testo da lei scritto e quali idee supporta?

 

L’idea di fondo è che una famiglia numerosa si fa ammirare. 

In un mondo – com’era quello romano e com’è anche il nostro – in cui importa tanto il giudizio degli altri, già i complimenti potrebbero indurre le persone a non fermarsi a uno/due figli. 

Sembrerebbe un’ingenuità; Musonio, però, si spinge oltre, sottolineando che l’armonia dei componenti della famiglia è un ingrediente essenziale; in un altro passo delle sue Diatribe afferma: “Io considero degno della massima invidia chi vive tra una moltitudine di fratelli concordi e ritengo del tutto caro a Zeus l’uomo i cui beni provengano dalla famiglia” (Diatriba 15 B). Amore ed educazione raggiungono obiettivi spesso ritenuti irraggiungibili.

 

Perché preferisce ricevere riconoscimenti concreti piuttosto che complimenti, e come questo riflette la sua visione sulla valorizzazione della maternità?

 

Perché, come ben capisce chiunque, i complimenti non sono tutto. 

Non ti importa dei complimenti quando sei tu che devi fare le faccende di casa, quando sei tu che ti accorgi di quanto ti manca un qualsiasi sussidio quotidiano…

Sapere, però, che questi sforzi non ti vengono ripagati solo in termini di affetto dai tuoi figli, ma che sono concretamente riconosciuti dalla collettività, che sono valorizzati e, per ciò stesso, additati come esempi da imitare ti carica di forza ed energia positiva. 

Una collega in pensione, stupita per la mia produzione scientifica, mi ha scritto da recente: “Buon lavoro e complimenti per il tantissimo lavoro che fai, per noi donne non sempre facilissimo”.

 

Quali strategie potrebbero essere adottate per valorizzare maggiormente la maternità nella società e nel contesto professionale?

 

Come ho scritto, le madri hanno “sensibilità, esperienza, profondità, pazienza, tenacia, rispetto per le diversità, capacità organizzative, di ottimizzazione delle risorse e di riduzione degli sprechi”, doti potenziate in chi ha più di uno/due figli. 

Offrire alle pluri-mamme l’opportunità di condividere la propria competenza ed esperienza a servizio della società e delle istituzioni educative significa, a mio avviso, non solo arricchire enormemente queste ultime, ma anche incentivare la natalità più di quanto non si creda. 

Se io so di non poter ottenere nessun vantaggio nella mia carriera, anzi so di essere ostacolata proprio perché madre, non sarò stimolata ad avere figli, anzi. 

Non dimenticherò mai il concorso che ho perso perché doveva vincere un altro candidato; la giustificazione non ufficiale di uno dei commissari è stata: “la collega si è messa a fare figli invece di pubblicare”… 

Ma io non mi sono lasciata condizionare e sono andata avanti sia sul piano familiare (ho avuto altri due figli da allora!) sia sul piano scientifico e accademico, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti (cfr. https://unict.academia.edu/CristinaSoraci). 

Per valorizzare maggiormente la maternità nel contesto professionale basterebbe intanto applicare quanto scritto nei programmi ufficiali: per limitarmi ai “proclami” di Unict, adoperarsi per la “riduzione” del “divario di genere nei percorsi di carriera”, per il “riconoscimento di agevolazioni lavorative e di specifici criteri di valutazione di lavoratori e lavoratrici rientrati in servizio dopo esperienze genitoriali” (Piano di Uguaglianza di Genere UniCt 2022-2026, azione 1), assicurare “in ogni attività istituzionale il rispetto della parità di trattamento a parità di condizioni e di ruolo” (Codice etico dell’Ateneo di Catania, D.R. 1166, dell’8/4/21, art. 12 c. 2). 

Un ulteriore passo in avanti potrebbe essere il contemplare la maternità come valore aggiunto nella valutazione dei curricula o il prediligere il conferimento di incarichi di rappresentanza, come (ma non solo) quelli relativi alle Pari opportunità, a quante effettivamente hanno vissuto sulla loro pelle l’esperienza del vedersi calpestati i propri diritti, di donne e di madri.

 

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