di Marta Genova Era la rete di spaccio del quartiere e l’operazione Alveus l’ha eliminata. Diciassette provvedimenti cautelari in tutto di cui nove arresti. Sono tutti accusati di spaccio di hashish, cocaina, eroina e marijuana. In carcere sono finiti Gioacchino Stassi, nato a Palermo il 30.06.1968, detenuto presso l'Ucciardone, Vincenzo Cocuzza, nato a Palermo il 12.07.1980, detenuto presso l'Ucciardone, domiciliari invece per Giuseppe Labruzzo, nato a Lucera (FG) il 20.07.1982, residente a Palermo, Salvatore Bisiccè, nato a Palermo il 03.11.1990, Bruno Calderone, nato a Palermo, l’08.02.1982, Gregorio Ribaudo, nato a Palermo il 29.06.1982, residente Palermo, Antonio Persico, nato a Maddaloni (CE) il 15.01.1992, Francesco Lo Nardo, nato a Palermo il 23.12.1984, Vincenzo Ribuffa, nato a Palermo l’01.12.1987; Hanno obbligo di presentazione alla polizia giudiziari altri sei componenti della rete: A.R. nato a Palermo il 22.03.1984, detenzione domiciliare, G.B., nato a Palermo il 11.01.1983, S.B. nato a Palermo il 18.02.1989, M.B. nato a Palermo il 02.02.1989, A.T. nato a Palermo il 05.10.1989, G.B. nato a Palermo il 18.02.1989. Una maxioperazione, seguita ad una lunga attività di ingagine iniziata nel 2011, condotta dai carabinieri della compagnia di piazza Verdi, sotto la direzione del procuratore aggiunto Teresa Principato, della Dda di Palermo ed ei sostituti Sergio Barbiera e Gianluca De Leo. Fondamentali le intercettazione telefoniche e i video-ambientali che hanno permesso di ottenere elementi importanti che hanno portato nel corso del tempo ad un quadro chiaro della gestione dello spaccio a Falsomiele, ben ramificata. Il nome dell’operazione Alveus, infatti, non è un caso. La droga veniva ceduta nei classici vicoli difficilmente controllabili ma limitrofi alla zona di spaccio. Un vero e proprio ipermercato dello stupefacente quello che è emerso dalle indagini, in cui era possibile comprare droga sia al dettaglio che in grandi quantità, che venivano a loro volta tagliate e rivendute anche in altre province. Un grande giro dello spaccio che oltre alle misure cautelari, nel corso delle indagini ha portato alla segnalazione alla Prefettura di altre 71 persone per uso personale, 31 arrestati in flagranza durante l’indagine per reati inerenti gli stupefacenti, 5.7 chili di hashish posti sotto sequestro, svariati grammi circa di marijuana, cocaina ed eroina posti sotto sequestro. Nella piazza principale infatti operavano circa quindici soggetti che alternavano il loro ruolo tra “pusher” e vedette. Una rete di spacciatori ben organizzati e preparati, che effettuavano gli scambi di droga e denaro in concorso e dunque ognuno con un ruolo ben preciso. La droga ad esempio non era mai consegnata dalla stessa persona che incassava il denaro. Ogi mezzo per confondere ed eludere le indagini era messo in atto. Nell’ambito della piazza di spaccio, i ruoli di Pusher o Vedetta erano assolutamente intercambiabili anche nell’arco della medesima giornata. Intercambiabili erano anche i clienti che spesso si fidelizzavano e cominciavano a fare ordini di quantitativi ben precisi via telefono a quello che era diventato il loro spacciatore di fiducia che poi li indirizzava, al momento dell’acquisto, al pusher di turno. Pur non potendo documentare una gerarchia tra gli spacciatori si è potuto notare come questi fossero più o meno capaci nel loro “mestiere” sia per le accortezze utilizzate che per i richiami ricevuti dal “capo-piazza”: solo a titolo di esempio si nota come i più accorti e capaci tra i pusher avessero un loro giro di clientela ben selezionata e molto attenta a “non sbagliare a parlare per telefono”, utilizzassero delle vere e proprie “schede di servizio” dedicate unicamente allo spaccio ed intestate a terzi, spesso tossicodipendenti, che erano disposti a cedere la loro “sim” in cambio di una dose. Anche nel parlare i più “anziani” non facevano mai apertamente riferimento alla droga chiacchierando al più dei caffè da prendere al bar piuttosto che dell’acquisto di macchine, motori, scarpe, borse. I meno esperti invece utilizzavano telefoni intestati a loro stessi, o a parenti prossimi, parlavano con i clienti in maniera chiara di fumo, erba e quantitativi da cedere e non si curavano di farsi guardare le spalle mentre spacciavano.
La piazza rimaneva in questo modo attiva giorno e notte.