I Pm Alessandro La Rosa e Giuseppe Gennaro hanno chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli indagati nel procedimento sullo scandalo Formazione, che ha messo in luce un ramificato sistema definito "familiare" dagli stessi magistrati, con a capo Giuseppe Saffo Si è tenuta oggi, di fronte al Gup dott.ssa Maria Paola Cosentino l'udienza del processo che vede indagate 35 persone per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, peculato, tentata truffa aggravata, ricettazione ed emissione fraudolenta di fatture. Il procedimento nasce a seguito dell'operazione Pandora dell'ottobre del 2013, a seguito della quale venne scardinato il sistema della formazione in Sicilia. Oltre all'A.N.F.E., infatti, vennero coinvolti dall'indagine anche altri enti come l’I.S.S.V.I.R., l’A.N.F.E.S. e l'I.R.A.P.S. Grazie all'indagine coordinata dalla Procura di Catania saltò fuori agli occhi dell'opinione pubblica un incredibile sistema di gestione dei fondi destinati alla formazione professionale, basato su operazioni di dirottamento di ingenti somme di danaro (decine di milioni di euro). Uno dei principali indagati, Giuseppe Saffo, ex presidente dell'Anfe Catania e proprietario di un noto stabilimento balneare nel catanese, è ritenuto dagli inquirenti il vertice di una complessa organizzazione che permetteva ai sodali di appropriarsi di somme di danaro. Il funzionamento del "sistema Saffo" così come appellato dagli organi si stampa, è stato spiegato oggi in aula dai Pm titolari dell'indagine Alessandro La Rosa e Giuseppe Gennaro. La sottrazione dei fondi avveniva in vario modo: da false fatturazioni a gare d'appalto fittizie, a seconda della possibilità permesse dalle norme e dalla "elasticità del sistema", così come descritto dagli stessi magistrati dell'accusa. Un sistema che operava a 360 gradi, in ognuno dei variegati campi interessati dai progetti di formazione professionale. Unica costante: la presenza di familiari ed amici di Giuseppe Saffo nei posti chiave. A permettere il funzionamento del meccanismo criminoso interveniva la mancanza di controlli sulle operazioni svolte. "Chi doveva fare il controllore era sempre un parente o qualcun altro interessato a incarichi o altro" ha rilevato il Pm Gennaro. Le gare d'appalto irregolari si basavano, secondo quanto affermato dai magistrati, su false offerte di presunti concorrenti, per dare all'esterno una parvenza di credibilità alle operazioni effettuate. In questo modo si garantiva agli interessati la possibilità di scegliere sempre gli stessi concorrenti, eludendo così l'obbligo di ricorrere a procedure di selezione degli operatori economici. Per eseguire la distrazione delle somme il metodo era semplice: i soldi che arrivavano dalla Regione venivano versati su un conto relativo al singolo corso di formazione professionale. Successivamente parte di questi soldi, mediante assegni circolari, venivano girati nei conti personali degli imputati. "Le operazioni bancarie venivano effettuate sempre da Saffo e sempre nella stessa filiale di banca, dove tra gli altri lavorava la moglie di uno degli imputati" ha concluso il Pm. "Una struttura così grande e con interessi così vari che permetteva al gruppo di rubare enormi cifre di denaro a seconda della elasticità del sistema. Una continua e sistematica attività di elusione delle norme" hanno concluso il magistrati del Pubblico ministero riferendosi alla capacità del gruppo di operare sui numerosi progetti professionali finanziati dalla Regione, più di un centinaio. Alla richiesta di rinvio a giudizio ha aderito anche la regione Sicilia, costituitasi parte civile nel procedimento.