Nell’urna del 10 giugno una pletora di liste civiche protese alla rinascita della città, nomine di assessori dell’ultima ora e promesse reboanti lanciate come coriandoli. E intanto che crescono rabbia e indifferenza Nerone canta mentre Roma brucia Rieccolo, immancabile e puntuale partecipare ai soliti appuntamenti “taglianastri”. L'uomo del taglio ha detto si, insieme al suo più fedele e (come lui) sorridente assessore saldamente assiso sullo strapuntino ai “Saperi e alla Bellezza Condivisa”, l'accademico Orazio Licandro. Rieccolo, immarcescibile, al taglio del nastro dell'ottava edizione di "Etna Comics" o ancora a quello della “fontana-acquasantiera” neo-obbrobio del Tondo Gioeni, costato oltre un milione di euro o alla passerella di corso Martiri della Libertà, scandalo infinito d’una città ferita, ulcerata. Una farsa tragica quella dell'uscente primo cittadino di Catania, Enzo Bianco, che incurante della barca che affonda come Nerone che suonava mentre Roma bruciava - in ultimo tour elettorale, sbarcato armi e bagagli al nastro di partenza dell’acclarata manifestazione del fumetto e della cultura pop - ostenta contentezze condite dalla falsa indifferenza di chi “pirandellianamente” sorride… “Rideva, rideva, ma come una lumaca sul fuoco”. Sceglie assessori dell’ultim’ora sulla base di consensi altrui per fagocitare furbescamente voti insperati, inventa liste civiche per riciclare “ad usum delphini” la catastrofe elettorale del Partito Democratico, dichiarandosi “asettico”. “To Catania with love” (parafrasando il titolo del film di Woody Allen), è il grido lanciato da tutti i candidati, laddove ridotta in ginocchio, per quanto onusta d’antica cultura, la città di Catania - gravata da plumbea cappa - vomita sul mondo i miasmi d’un marciume e d’una corruttela che non trova equivalenti in nessun’altra città dell’isola. Rieccolo, insieme al suo sodale Licandro, accendere gli ultimi fuochi d’un ormai esausto protagonismo mediatico, una sorta di divismo straccione in cui amano crogiolarsi questi politici di periferia, che la Catania ancora in attesa delle promesse palingenetiche rimaste lettera morta accoglie quotidianamente con indifferenza o con rabbia dal sottosuolo della sua deriva morale, politica, economica e culturale. A questa specie di pantomima simbolica e realista (dicotomia solo apparente), all’ossessione fetish d’un gigantismo pagliaccesco misto di leggerezza ingannatrice, un finto divertissement a malapena cela la tragedia d’una città piagata d’antiche e nuove offese, dove le giovani generazioni rifiutate dal mondo del lavoro che non c’è sognano l’altrove, la fuga verso mondi più puliti, via, lontano da questa terra che li ignora o li respinge o dove i reietti senza casa, disperati occupano la Cattedrale della patrona Agata. Gli stracchi “deja vù”, le immagini stucchevoli e stereotipate d’un potere giunto allo stremo delle forze, che tenta di rigenerarsi quasi per partenogenesi nel triste declino delle democrazie occidentali, non li attraggono più. Con questi politici in scena che s’inseguono sul crinale d’un populismo gridato, imbastendo liste civiche ingannatrici, siamo giunti già molto oltre il surrealismo bunueliano. Una colonna sonora di vecchi successi, triti e ritriti, quasi in puro stile ”alliano”. A questa logora sceneggiata manca solo l’uscita di scena (programmata per il 10 giugno) accompagnata dalle arie dei melodrammi dei nostri evangelisti del “belcanto”, delizia dei tanti melomani catanesi: le pucciniane “E lucean le stelle” (delle innumerevoli promesse non mantenute) e “Nessun dorma” (in queste ultime battute frenetiche consumate negli ambulacri clientelari); o ancora l’esorcizzante verdiano “Libiamo ne’ lieti calici” (in attesa dello spoglio) o il presenzialista-pagliaccesco “Son qua, son qua”. Ne resta fuori la celestiale bellezza della “Casta Diva” del nostro Vincenzino. Sarebbe davvero oltraggio imperdonabile. Del beneamato “Cigno” etneo - genius loci e grande ambasciatore culturale al mondo di Catania, la cui memoria - con la “spocchia e l’arroganza dei primi della classe” - ancora una volta è stata violata da reboanti progetti mai realizzati più adeguato appare l’ “Ah, non credea mirarti, sì presto o estinto fior”, che gli sconfitti intoneranno mesti l’11 giugno. Senza scordare il “Requiem” del “divino” Mozart con cui seppellire, una volta per tutte, le baggianate e la cialtroneria di coloro che oltraggiano la cosa pubblica facendone un feudo del proprio delirio d’onnipotenza.