
Io ci sono stato
ore e ore davanti a quella porta chiusa,
al Cannizzaro
, aspettando notizie di un amico per il quale ci avevano detto che non c'erano speranze: invece ce lo hanno restituito e ci stiamo ancora divertendo inventandoci nuovi progetti come SudStyle Talk. Sappiamo quanto hanno combattuto per restituirlo alla famiglia,
e ne abbiamo capito il valore
.
"É tutta colpa del Coronavirus?"
chiede oggi come fosse un pugno allo stomaco
Maria Concetta Monea, una professionista tosta, tostissima.
Non una che si lascia andare a chiacchiere da bar o perde tempo nei salotti televisivi: è infatti il
Primario
del reparto, tra gli altri collegati che dirige,
di Terapia Intensiva dell'Ospedale Cannizzaro
, dove i 150 tra medici e infermieri che ci si dedicano non aspettavano il coronavirus per passare le notti, e i giorni, a lottare come leoni per salvare una vita. Non cento, mille, 10 mila, non è questione di contabilità, numeri, budget: una sola, perché
anche una sola vita
in quei reparti rappresenta lo scopo del proprio essere medici e infermieri.
È incredibile quello che accade nei reparti di Terapia Intensiva, sempre
, ogni giorno, non solo in periodi di pandemia: professionisti di altissima specializzazione che sono formati per non arrendersi mai, finché c'è un alito di respiro non si molla.
Mercoledì 15 maggio incontreremo a SudTalk il Primario Maria Concetta Monea
, per dare un volto ed una voce a tutti i Medici, Infermieri ed operatori dei reparti di Terapia Intensiva,
per dire grazie ma anche per ascoltarne il dolore mentre aspettano, insieme a noi, che "chi di dovere capisca" che dietro i budget ci sono persone, ci sono vite. (PDR)
E quindi basta!!
Ho deciso di uscire allo scoperto. Devo raccontare della Terapia Intensiva.
Tutta colpa del coronavirus.
Io sono un’Anestesista Intensivista. Che non è la stessa cosa di rianimatore. Rianimatore è fare un gesto singolo, il più delle volte non sai come finisce il tuo paziente.
Ma l’intensivista no, lo sa, e come!

L’Intensivista fa un progetto di diagnosi e terapia, lavora in squadra, usa macchinari da NASA, sofisticati e che ci vuole una vita di lavoro e di allenamento quotidiano per saperli sfruttare al massimo delle loro possibilità.
La mattina per andare al lavoro ti alzi molto presto, quando non sei già in piedi perché a letto non ci sei mai andato e la notte in reparto è volata accanto a uno, il più grave di tutti, o correndo da un letto all’altro senza tregua.
E non c’è Natale e non c’è ferragosto che cambi le cose.
Uscire all’aria aperta dopo una notte ti fa respirare a pieni polmoni per lavarli dell’aria pesante, respirata appena per quello che serve e non di più.
Fuori l’aria pizzica anche d’estate perché la stanchezza mette freddo ma la luce!!... Quella si che ti ripaga di tutto, ti inonda e ti fa scoprire il cielo bellissimo sempre, anche quando piove.
Ripensi a tutto quanto hai fatto in un attimo, torni indietro e ti chiedi se hai dimenticato qualcosa nelle consegne.
Mentre torni a casa ascolti una notizia: 100 o 200 morti? Una guerra o un aereo che cade? Sono tanti e il numero sembra non fare differenza.
Tu per uno, uno solo, insieme ai tuoi infermieri hai combattuto una notte intera della tua vita e non sai se sarà servito.
Ma si certo che è servito, serve sempre, perché hai donato e donare è come lanciare un sasso in uno stagno: è energia che cammina.
Il coronavirus nessuno se lo aspettava ma per la verità in cuor nostro sapevamo tutti che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe messo in crisi il nostro fragile sistema.

Ogni volta che si tagliavano risorse c’era la solita voce solitaria che lanciava un grido di allarme inascoltato e poi tutto tornava a funzionare apparentemente come prima col sacrificio di molti silenziosi medici Intensivisti e Infermieri abituati a restare in trincea per senso del dovere e come stretti in una morsa senza potere liberarsi per l’incalzare del lavoro, al quale se ti sottrai sai che qualcuno ci può lasciare la pelle.
E allora continui perché
pensi che prima o poi chi di dovere capirà.
Ed ecco che arriva il coronavirus.
“Virus Verità”, l’ho chiamato cosi fin da subito. Irrompe nelle nostre vite e le cambia di botto.
Si ma non era così che mi aspettavo il cambiamento. Se mai ci sarà.
A che prezzo !!
Abbiamo paura anche noi ma nessuno si tira indietro,
è il nostro lavoro
e sappiamo che senza di noi i morti si conteranno ancora di più e restiamo inchiodati senza guardare le ore.

Sono il Primario
e devo dare loro serenità e sicurezza.
Gli occhi parlano.
Guardo gli occhi dei miei Anestesisti Intensivisti e dei miei Infermieri e vi leggo dentro la paura ma anche il coraggio, che coraggio è senza la paura?!
So che posso contare su tutti anche su
quelli che vorrebbero scappare e non lo fanno.
Abituati noi alla diversità clinica, improvvisamente arrivano malati che sembrano apparentemente tutti uguali e noi, bardati come marziani, gli giriamo intorno, li colleghiamo al respiratore e a monitors sofisticati, incannuliamo grossi vasi con cateteri lunghi e pieni di rubinetti che colleghiamo a pompe-siringhe, cerchiamo di capire attraverso Rx , TAC ed esami di laboratorio che grado di gravità hanno.
Sappiamo che quelli che moriranno non vedranno più i loro cari e i loro cari non li vedranno mai neanche dopo.
Siamo provati ma sappiamo mantenerci lucidi, non ci fermiamo.
E gli altri malati dove sono?
Arrivano pure ma solo i più gravi.
I meno gravi invece hanno paura e restano a casa.
Per noi aumenta moltissimo il lavoro perché i più gravi arrivano sempre, soprattutto nel mio ospedale che è un ospedale per l’emergenza e si aggiungono ai malati di coronavirus.
Ma si devono curare anche loro e quindi? E intanto tamponi a tutti, se fossero portatori anche loro?
Diversifichiamo i percorsi altrimenti si infettano tutti.
Semplice a dirsi ma più complicato a realizzarsi
in un sistema che si è beato di scelte ingegneristiche fantastiche adatte ad una sanità da budget, dove i monoblocchi facevano risparmiare spazi e rendevano efficiente un sistema “produttivo”,
economicamente produttivo
, che risolveva problemi di salute, importanti per carità, ma a volte anche costruiti su un già conosciuto sistema di profitto.
Ma
la TERAPIA INTENSIVA è un’altra storia.
E soprattutto il Coronavirus è un’altra storia.
Bisognerà ridisegnare
un nuovo sistema sanitario con al centro l’EMERGENZA tutta
e soprattutto al primo posto le TERAPIE INTENSIVE.
Bisognerà riscrivere l’ETICA sanitaria.
Etica intesa come costume, come cambio di rotta, come abitudine.
Abitudine, speriamo, ad uno sguardo nuovo che tenga sempre la salute fisica e mentale dell’uomo al centro di tutte le nostre scelte.
