Il consiglio di classe ha deliberato di assegnare quindici giorni di sospensione ai due studenti dell’Iss Romanazzi di Bari, che il 29 settembre scorso avevano sparato al docente di Diritto ed economia con una pistola a pallini.
Ritengo sia una decisione oculata, che andrebbe affiancata, ma credo che l’orientamento sia questo, dall’obbligo di svolgere lavori sociali.
Sarebbe meglio se in una struttura nella quale questi giovani potessero vedere e toccare con mano la sofferenza, assistendo anziani non più autosufficienti o comunque persone afflitte da problemi di salute seri.
Questo non per esercitare violenza psicologica su di essi, ma per distoglierli dal tedio quotidiano e far provare loro il piacere di aiutare gli altri, di rendersi utili al prossimo, di compiere gesti di tenerezza, di scoprire nelle piccole cose la grandezza e la bellezza della vita.
All’inizio di questa vicenda, aveva invece suscitato perplessità la proposta dell’insegnante colpito di espellere gli alunni che l’avevano aggredito.
E ancor di più il tentativo di barattare la mancata denuncia penale nei loro confronti col provvedimento estremo.
Purtroppo il docente in questione ha rilasciato delle interviste in cui tali richieste sono state più volte reiterate.
Ora, non si vuole né colpevolizzare, né stigmatizzare la vittima. Tutt’altro!
Anzi, personalmente ho subito provato sconcerto per l’accaduto e ho pure cercato di immedesimarmi nel collega.
Certamente avrà subito delle sensazioni terribili, non solo per il dolore fisico causato dallo sparo, ma per la delusione di chi, pur dedicando tempo ed energie ai propri giovani, si vede ricambiare in tal modo la sua dedizione.
Tanto più che episodi come quello di Bari hanno già avuto dei precedenti spiacevoli e non si può escludere che seguiteranno a ripetersi.
Probabilmente con dinamiche peggiori e, spero tanto di sbagliarmi, con effetti più perniciosi.
Ma il modo di scongiurare una degenerazione dei rapporti tra docenti e discenti e, in generale, tra la scuola e le famiglie, è non rinunciare alla missione educativa.
Espellere un ragazzo equivale ad abdicare a questo compito, lasciare che venga fagocitato dalle fauci più malsane della società e si trasformi, in breve tempo, in un malvivente incallito e difficilmente recuperabile.
Specialmente se il contesto urbano è condizionato, o addirittura egemonizzato, dalla criminalità organizzata, che adesca i giovani per trascinarli al proprio servizio.
È stato anche detto che l’espulsione poteva costituire un “segnale” da dare agli altri compagni e a tutti quegli allievi che, impauriti dalla sanzione, si sarebbero guardati bene dall’emulare i due espulsi.
È lo stesso ragionamento che usano i sostenitori della pena di morte, secondo i quali la paura di finire sulla sedia elettrica sarebbe un valido deterrente contro la recrudescenza criminale.
In realtà non è proprio così, visto che negli Stati Uniti, dove la pena capitale è ammessa si registrano molti più reati degli altri stati.
Tornando al mondo della scuola, chi spara ad un insegnante, non per ucciderlo o per ferirlo, ma per fare una bravata e magari attirare l’attenzione su di sé, non ha nulla da perdere.
Per ragazzi del genere le note disciplinari e le sospensioni rappresentano una sorta di cursus honorum, di cui l’espulsione potrebbe divenire il culmine.
Se, infine, è ancora valida la massima kantiana di considerare la persona sempre come fine e mai come mezzo, si può punire qualcuno per dare una lezione agli altri?
Tutto questo è aberrante sul piano morale e mostruoso su quello educativo, giacché ogni intervento pensato e attuato, deve servire a migliorare innanzitutto l’interessato.
Un’ultima considerazione riguarda il voto di condotta, che dovrebbe essere cinque.
Mi auguro che ci si riferisca al primo periodo di valutazioni, perché un’insufficienza nel comportamento allo scrutinio finale equivale a una bocciatura e dunque alla perdita di una anno di scuola e di vita.
Ebbene, di tutto possono avere bisogno questi giovani dell’Iss Romanazzi di Bari tranne che di perdere tempo prezioso.