Tendiamo a vedere il carcere come un luogo giusto, un luogo dove chi soffre, cinicamente, se l'è anche meritato.
Un luogo in cui il sovraffollamento, la privacy, l'igiene o persino il supporto psicologico sono superflui.
Eppure, non si riesce a dar torto né a chi pensa che le carceri debbano essere un girone dantesco né a chi vorrebbe massima libertà per i detenuti o, utopicamente, l'inesistenza delle carceri, una sorta di zona ambigua dove è comodo per tutti stare.
Da una parte, c'è la pancia del popolo che vuole vendetta sul carcerato perché, magari, avendo subito ingiustizie, è incattivito; mentre, dall'altra parte, ci sono i salotti benestanti che non hanno idea di cosa significhi stare in una zona degradata, facendo della questione un mero esercizio di stile.
Però, non si è qui per stabilire colpe o sottolineare le differenze di pensiero, ma per esporre dei dati.
Il numero di detenuti che si tolgono la vita nelle carceri italiane continua a crescere: ad oggi, sono 61 i suicidi, uno ogni tre giorni, e oltre 600 le persone che hanno perso la vita in carcere.
L'età media di chi si suicida è intorno ai 40 anni, ma il tragico elenco comprende anche un ultrasessantenne e sei giovani.
Secondo un recente rapporto del Garante dei detenuti, circa la metà di questi suicidi avviene nei primi sei mesi di detenzione: sei nei primi 15 giorni, tre dei quali addirittura nei primi cinque dall'ingresso in carcere.
Solo il 38% delle vittime aveva una condanna definitiva.
Sempre secondo il Garante dei diritti dei detenuti, nelle carceri italiane ci sono attualmente 61.140 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 51.269 posti e di una disponibilità effettiva di soli 46.982.
Questo porta l'indice di sovraffollamento nazionale al 130,06%.
Sono ben 150 (79%) gli istituti che superano la capienza consentita, e in 50 di questi casi l'indice supera il 150%, con il picco record del 231,15% registrato all'istituto milanese di San Vittore.
Proprio perché spesso si tratta di persone invisibili, a cui è stata sottratta persino l'ombra, vediamo chi è il soggetto "tipo" che arriva a compiere il gesto più estremo:
L'età media delle persone che si sono tolta la vita in carcere è di 40 anni.
La fascia d'età più rappresentata è quella tra i 30 e i 39 anni, con 33 suicidi.
Segue la fascia tra i 40 e i 49 anni, con 27 casi.
Tra i più giovani, ci sono stati 17 suicidi tra i 20 e i 29 anni, e altrettanti tra i 50 e i 59 anni.
Infine, ci sono stati 5 suicidi tra i 60 e i 69 anni.
Il caso più giovane è stato quello di un ragazzo detenuto nella Casa Circondariale di Teramo, che si è tolto la vita il 13 marzo 2024, proprio il giorno del suo ventunesimo compleanno, dopo pochi giorni di detenzione.
21 anni e dopo pochi giorni.
Questo significa che, all'ingresso del carcere, questo ragazzo deve aver subito uno shock impressionante, talmente grande da non aver retto il colpo.
Il sovraffollamento, il fatto che i detenuti spesso e volentieri non sono dei santi e che, persino tra di loro, fanno la guerra, l'assenza di uno spazio proprio, ecc.
Insomma, levarsi la vita solo dopo pochi giorni è indicativo.
Le carceri vanno distrutte e ricostruite, e non si parla della struttura in sé, ma del sistema che tratta i carcerati come bestie da soma e, una volta scontata la pena, rimangono tali.
[l'ultima grafica fa riferimento ad uno studio fatto nel 2007, ma i numeri rimangono pressocché gli stessi]