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Etna, “emergenza” cenere vulcanica: altre idee sul “Piano Cenere” che doveva esserci ma non c'è

02-09-2024 06:30

Giacomo Petralia

Cronaca, HOMEPAGE IN EVIDENZA,

Etna, “emergenza” cenere vulcanica: altre idee sul “Piano Cenere” che doveva esserci ma non c'è

“Circostanza improvvisa, accidente”? Oppure inadeguatezza cronica di chi non ne risolve nemmeno una?

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“Circostanza improvvisa, accidente” - o anche - “particolare condizione di cose, momento critico che richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione di stato di emergenza”: sono questi, secondo quanto attesta il vocabolario Treccani, alcuni dei principali significati riservati al termine “emergenza”.

 

“A seguito degli episodi di caduta di cenere vulcanica, tra il 2020 e il 2021, da parte dell’Università di Catania e, in particolare, da parte di due dipartimenti, ossia quelli di Agraria e di Ingegneria Sanitaria-Ambientale, si sviluppò l’idea di una ricerca scientifica su questo tipo di materiale, per cercare di capire quale potesse esserne l’utilizzo.”

 

Inizia con un flashback il dettagliato racconto che una fonte eminente, di cui manterremo l’anonimato, ha voluto riportare ai microfoni di SudPress, in merito all’emergenza creata dalla cenere vulcanica dell’Etna, la quale, periodicamente, soffoca la città di Catania e i comuni dell’hinterland.

 

La ricerca scientifica menzionata da chi ci parla si traduce, nel 2021, nei risultati del “progetto REUCET – Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee”, nato proprio nell’Ateneo catanese e finanziato dal Ministero dell’Ambiente. 

 

Gli esiti ottenuti da tale progetto, come sottolineato da Paolo Roccaro, professore ordinario al DICAR, dimostrano che il riutilizzo della cenere vulcanica porterebbe ad un duplice vantaggio: ridurre il consumo delle risorse naturali ed evitare lo smaltimento della sabbia nera come semplice rifiuto. 

 

In definitiva, quel che viene creato dai parossismi del vulcano potrebbe avere svariate applicazioni in più settori ingegneristici.

Fin qui tutto bene ma, da quel che ci spiega il nostro interlocutore, il primo scivolone non tarda ad arrivare: la cenere vulcanica, raccolta insieme a tutti gli altri rifiuti stradali, non era più catalogabile come materiale naturale bensì come rifiuto speciale, da trattare. 

 

Chiamiamolo “errore”, se si vuol essere in buona fede, a cui si riesce a mettere una pezza dopo qualche anno: “Più o meno alla fine del 2022” - continua, infatti, la nostra fonte – “viene fatta una correzione giuridica, per cui, per disposizione normativa, la cenere vulcanica viene inserita come materiale naturale nel Testo unico in materia ambientale.”

 

L’entrata ufficiale della cenere vulcanica tra le norme del Testo unico, addirittura in qualità di materia prima, non può che avvalorare ancor di più le tesi degli studiosi dei due dipartimenti UniCt: la sabbia nera può essere utilizzata, tra l’altro, come fertilizzante per concimare terreni ad uso agricolo, come fondo stradale, in ambito industriale e, anche se solo relativamente, in ambito edilizio.

 

“Dalla presentazione di questi risultati, ho tratto l’idea che si potesse essere dei pionieri di un cosiddetto Piano Cenere” ammette, inorgoglita, la nostra fonte “il quale rientrerebbe nel più ampio programma adottato dalla Protezione Civile. Con esso, si stabilirebbero delle adeguate forme di raccolta e trasporto del materiale. Bisogna anche considerare che più il materiale è pulito e meno alti sono i costi di consegna.”

 

Tutto sembra promettente, dunque, e chi ci racconta la propria versione decide che è tempo di muoversi verso il progresso: “A questo punto, ho affidato questa idea ad un comune, non c’è bisogno che io specifichi quale, con tanto di indicazioni da parte dell’associazione di Protezione Civile: questa avrebbe infatti aiutato l’ente a confezionare le modalità del piano.”

 

Qui, la nostra fonte ci fornisce qualche specifica pratica in più in merito a questo piano, affermando “[…] la cenere lavica raccolta sia in aree pubbliche sia in private, potrebbe essere inizialmente depositata in spazi designati e con mezzi adibiti come camion scarrabili, eliminando i contenitori di plastica; le aziende o i privati interessati, poi, potrebbero raccogliere a loro volta questo materiale, al fine che venga lavorato e utilizzato in base agli scopi previsti.”

 

Il punto centrale alla base di questo progetto, sottolinea la nostra fonte, sarebbe comunque una comunicazione certosina: i cittadini dovrebbero essere messi subito al corrente sulle operazioni di raccolta e conferimento della sabbia nera e sulle tempistiche previste.

 

Una logica domanda sorge spontanea: tutto ciò, però, non farebbe lievitare i bilanci dei comuni? 

“Creando il giusto interesse e marketing, il comune non avrebbe costi maggiori rispetto a quelli che ha già” ci viene risposto “perché, ad esempio, non si spenderebbero soldi in fertilizzanti chimici bensì si avrebbe a disposizione un fertilizzante naturale. Spendiamo allora in questo piuttosto di spendere denaro nel solo trasporto!”

 

A questo punto, riceviamo informazioni che confermano nuovamente le modalità distorte di gestione della cenere vulcanica, adottate a livello regionale. 

 

La nostra fonte, infatti, conferma: “In passato, sono stati messi a disposizione 5 milioni di euro, di fondi pubblici, regionali, per dare la possibilità ai comuni di affidare il trasporto della cenere lavica a chi fa cemento o comunque a chi si occupa di materiale edile dietro pagamento! Ciò significa: doppi guadagni! Questo materiale viene infatti rivenduto non solo sul mercato privato ma anche pubblico!”

 

Sugli spazi del nostro sito, abbiamo già dedicato alcune righe all’idea nata in una cittadina nel territorio del catanese: si tratta del comune di Nicolosi, la cui amministrazione ha deciso di perseguire, con lungimiranza e in controtendenza, la strada del riutilizzo. 

 

Grazie ad un contratto siglato all’inizio del 2024, Nicolosi è il primo comune etneo che conferirà la cenere lavica raccolta lungo le proprie vie alla start-up partner “System Futur s.r.l.”.

 

Nonostante ciò, il virtuoso modello descritto da chi ci parla non si trova su nessuna pagina programmatica di nessun altro comune etneo, come ci viene aspramente confermato: “Le assemblee che i sindaci fanno, a tal proposito, non servono a nulla. Attribuiscono colpe ai cittadini, dicendo che sono loro a non rispettare i patti” continua, con tono piccato “quando è l’amministrazione che deve decidere le modalità, nell’ordine dell’esigenza e della sostenibilità. Che la città metropolitana, la quale non ha neanche il piano di Protezione Civile provinciale, si dia da fare per programmare questo Piano Cenere.”

 

Un monito che tuona contro i pochi interventi (immediati) ma molto ben confusi.


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