
Che al centrodestra piaccia sperperare denaro pubblico in operazioni tanto costose quanto inutili lo abbiamo già capito con gli hotspot in Albania. Ma è con la gestione dei rifiuti in Sicilia che si è davvero toccato il fondo.
Come è noto, sull’isola non esistono impianti di termovalorizzazione: una lacuna gravissima che ci ha reso totalmente dipendenti dalle discariche. Una scelta miope e insostenibile, che ci ha condotti dritti verso una crisi annunciata.
Le discariche siciliane, ormai sature, chiudono i cancelli sempre più spesso, bloccando i conferimenti e aumentando il rischio di emergenze sanitarie. La soluzione trovata dalla Regione? Inviare i rifiuti all’estero. Sì, avete letto bene: tonnellate di spazzatura spedite in Danimarca, Finlandia e Turchia. A costi esorbitanti, ovviamente.
Lo ha ammesso lo stesso presidente Schifani: l’esportazione dei rifiuti costa alla collettività circa 100 milioni di euro l’anno. Eppure, una domanda sorge spontanea: davvero non esistevano soluzioni più economiche e razionali?
La verità è che al Nord i termovalorizzatori ci sono, funzionano, e non sono nemmeno utilizzati al massimo della loro capacità. Dei 36 impianti presenti in Italia, ben 25 si trovano al Nord. La Lombardia, in particolare, è la regione con il maggior numero di termovalorizzatori. L’impianto di Brescia, uno dei più avanzati d’Europa, ha una capacità di trattamento di 730.000 tonnellate annue di rifiuti non riciclabili – quasi il doppio rispetto al celebre Copenhill di Copenaghen, che si ferma a 400.000 tonnellate.
Eppure questi impianti non operano a pieno regime. Secondo i dati ISPRA, nel 2022 i termovalorizzatori italiani hanno avuto un tasso medio di utilizzo pari al 77% della loro capacità complessiva, lasciando inutilizzata una quota significativa di potenziale. Ciò significa che circa 1,6 milioni di tonnellate annue di capacità sono rimaste disponibili.
È tecnicamente possibile, dunque, inviare parte dei rifiuti siciliani al Nord, con costi di trasporto e smaltimento decisamente inferiori rispetto all’estero, e con minori emissioni legate alla logistica. La termovalorizzazione, inoltre, consente di produrre energia elettrica e calore, riducendo l’uso di fonti fossili e contribuendo così anche alla transizione ecologica.
Il vero ostacolo? Solo politico.
Non si tratta di un problema tecnico né logistico, ma puramente politico. Mancano accordi interregionali, manca una visione unitaria e, soprattutto, manca il coraggio di prendere decisioni razionali e impopolari a livello locale. L’assenza di una rete nazionale di gestione dei rifiuti spinge le regioni in difficoltà verso soluzioni paradossali e costose, mentre parte del sistema impiantistico italiano rimane sotto-utilizzato.
La Sicilia potrebbe risparmiare decine di milioni di euro l’anno e ridurre l’impatto ambientale del ciclo dei rifiuti, se solo si scegliesse la via della collaborazione con altre regioni e si iniziasse a pianificare con lungimiranza la costruzione di impianti sul proprio territorio.
Nel frattempo, continuiamo a spendere soldi pubblici per esportare rifiuti che potremmo smaltire in casa. Inquinando di più. Pagando di più. E fingendo che sia normale.