Silvio Berlusconi torna a promettere il rilancio dell'economia. La strategia del governo, l'enunciazione di un "piano per il sud" e il progetto di sgravi fiscali al Mezzogiorno in un'analisi di Claudia Andreozzi. Roma. Si parla di rilancio dell’economia ogni volta che il Governo è in difficoltà e c'è bisogno di dimostrare impegno e concretezza. Lo abbiamo visto qualche mese fa, quando per rispondere all'uscita di Gianfranco Fini dalla maggioranza, Berlusconi parlò di cinque punti per far ripartire l'azione di governo: Piano per il Sud, federalismo, sicurezza, riforma di fisco e giustizia. Incassato il voto di fiducia del 14 dicembre, però, il Piano per il Sud è tornato nel cassetto, il federalismo fiscale non ha superato l’esame della Commissione bicamerale (il voto di oggi si è concluso con un pareggio di 15 a 15), e gli altri punti, non pervenuti. Adesso che l'insidia si chiama Ruby e la sua incolumità politica è appesa al giudizio di una procura a lui ostile, Silvio prova a recuperare l'immagine dell'uomo del fare con un piano per la crescita. Nella strategia del Governo, il rilancio dell’economia dovrebbe partire da una riforma Costituzionale, cioè la modifica dell’art. 41 della Costituzione, quello che regola l’iniziativa privata. Le altre misure allo studio sono sgravi fiscali per le imprese del Mezzogiorno, il Piano Casa ( già contenuto nel programma elettorale del 2008 e mai realizzato) e un nuovo coordinamento per attuare il Piano per il Sud. Musica per orecchie dell’imprese, in teoria. In pratica, però, la realizzazione di questo piano di crescita appare poco realistica. Quando il premier Berlusconi l’ha annunciato con una lettera al Corriere della Sera, per esempio, il ragioniere di stato Giulio Tremonti non ne era stato informato. Ed è stato proprio il Ministro dell’Economia, in un vertice a due di mercoledì, a chiarire che non ci sono fondi per le nuove misure. Il mondo delle aziende, invece, avrebbe bisogno di interventi immediati, soprattutto al Sud: un’azienda su tre ha chiuso il 2009 in rosso. Il dato, diffuso martedì dal Ministero del Tesoro, emerge dalle dichiarazioni delle tasse pagate dalle aziende, ovvero l'imposta sul reddito delle società (Ires) e l'imposta sul reddito delle attività produttive (Irap). Per il Tesoro il 35% delle società è in perdita, e la maggior concentrazione del reddito è nelle regioni del centro nord. Al Sud e nelle isole infatti ha sede solo il 17% delle attività produttive, che pagano appena il 9% dei tributi totali. Una piccola percentuale delle imprese italiane (lo 0,8%) versa più della metà (il 52%) dell'intero gettito dell'Ires. Metà del reddito cioè, è prodotto da un manipolo di aziende di successo, quasi sicuramente con sede nelle regioni del centro nord. Un confronto che evoca epoche e paesi latifondisti ma che, riferendosi alle tasse, va preso con qualche cautela: buona parte dell’economia del Sud infatti è in nero, moltissime aziende producono reddito e danno lavoro senza versare un centesimo allo Stato e senza quindi emergere fra i dati del ministero. Anche al netto di queste valutazioni, però, il quadro dell’economia del Meridione è tutt’altro che confortante, così come preoccupa sapere che è in passivo un’azienda su tre. Troppe perché un piano di rilancio privo di fondi possa risultare efficace. Claudia Andreozzi