di Marta Genova Nessuna sorpresa, ma sono dati che lasciano comunque amarezza e scoramento quelli che emergono dal “check-up territorio – dossier Sicilia”, presentato da Confindustria. Nonostante la miglior performance del Mezzogiorno registrata in tema di Export sia stata quella Siciliana, la nostra regione continua a soffrire il netto e drastico divario tra Nord e Sud. Fatto 100 il valore delle esportazioni italiane, il 3 per cento proviene dall’Isola, con il valore più alto tra le regioni del Sud e dunque se l’economia della regione è trainata dai risultati ottenuti dalle esportazioni, la Sicilia è in coda alla classifica se si guarda agli indicatori relativi a competitività e attrattività del territorio. Un’Isola in apnea è quanto dicono a chiare lettere i dati elaborati dall’Area Politiche territoriali, innovazione, education di Confindustria presentati all’incontro cui hanno preso parte Andrea Bairati, direttore dell’Area Politiche territoriali di Confindustria, Nino Salerno, vicepresidente di Confindustria Sicilia con delega all’internazionalizzazione, Linda Vancheri, assessore regionale alle Attività Produttive, Raffaele Mazzeo, senior advisor Kpmg e coordinatore del Centro studi di Confindustria Sicilia e Simona Vicari, sottosegretario al Ministero per lo Sviluppo economico. Dati allarmanti certo, ma chi fa impresa e in Sicilia soprattutto, deve essere sì realista, ma anche ottimista: “Se è vero – dice presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante – che secondo i dati estratti dall’ultimo censimento Istat, il 97 per cento delle imprese siciliane ha un numero di addetti inferiore a 10, è vero anche che, nonostante le piccole dimensioni, le aziende non sono rimaste con le mani in mano e, piuttosto che piangersi addosso, si sono attivate per cercare nuovi mercati. A far registrare i numeri migliori - aggiunge – non è infatti l’oil (il cui export è diminuito del 23%), ma gli altri comparti, dall’elettronica al farmaceutico, dai prodotti chimici all’agroalimentare, che hanno fatto registrare un incremento del 14 per cento. Pensate quindi che cosa sarebbe questa terra se fossero create le condizioni per competere se potessimo contare su politiche industriali che non ostacolino chi fa impresa, ma lo incentivino, così come accade nei paesi concorrenti. Le potenzialità sono immense”. Quel che è evidente è che occorre una terapia d’urto per risollevarsi e in fretta “Bisogna ridurre la polarizzazione tra le imprese competitive e le imprese in difficoltà – conclude Montante –, contribuendo a riaprire i rubinetti del credito, favorendo gli investimenti, promuovendo l’occupazione e sostenendo l'internazionalizzazione. Ma anche immettendo nel circuito le risorse europee che potrebbero essere rapidamente trasformate, nel prossimo triennio, in investimenti pubblici e privati. È necessario intervenire con urgenza per realizzare alcune delle riforme strutturali, sul progressivo ridimensionamento della spesa corrente, tagliando gli incentivi improduttivi e riducendo il peso del pubblico sull’economia, rendendo efficiente la Pubblica amministrazione e riportando la pressione fiscale a livelli accettabili. Contemporaneamente è necessario porre grande attenzione alle Politiche di sviluppo, sia nel breve, sia nel lungo periodo”. I dati sul territorio Il manifatturiero fa entrare la Sicilia nella top ten italiana con 23 mila imprese attive (la prima è la Lombardia con 84 mila aziende); negativo invece è il dato sulla densità imprenditoriale (con circa 86 imprese ogni 1000 abitanti, la Sicilia si colloca in ultima posizione. Prima in classifica la Valle d’Aosta con quasi 150 imprese ogni 1000 abitanti). Se, però, si restringe l’analisi alle sole imprese manifatturiere, la classifica delle regioni cambia e la Sicilia guadagna qualche posizione. Competitività e attrattività del territorio In particolare, la prima voce racchiude il rapporto tra la produttività e il costo del lavoro; la redditività lorda; la propensione all’export e la propensione all’innovazione: unendo le quattro dimensioni in un unico indicatore la Sicilia crolla a terzultimo posto nella media italiana, seguita solo da Molise e Calabria. Sul podio, invece, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Non va meglio se si guarda il ranking regionale dell’attrattività: accorpando 12 macro categorie (istituzioni, stabilità macroeconomica, infrastrutture, sanità, scuola primaria e secondaria, università, efficienza del mercato del lavoro, sofisticazione del mercato finanziario, dimensioni del mercato, avanzamento tecnologico, complessità degli affari, innovazione), la Sicilia è al diciassettesimo posto, seguita da Calabria, Basilicata e Molise. Anche in questo caso ad aprire la classifica è la Lombardia, seguita da Lazio e Friuli Venezia Giulia. Scendendo più nel dettaglio e guardando il ranking provinciale, la forbice che separa l’Italia si fa più evidente: quasi tutte le province del Centro Nord, infatti, si trovano nella parte alta della classifica, mentre tutte le province del Sud, ad eccezione di Sassari, si posizionano nella parte bassa della classifica, che si chiude proprio con due siciliane, Ragusa ed Enna. Palermo è al sessantaduesimo posto, seguita da Siracusa (75^), Catania (79^), Caltanissetta (87^), Messina (93^), Agrigento (94^), Trapani (96^), Ragusa (102^) e Enna (103^).