Torna in aula il processo ancora in fase preliminare per la morte della piccola Nicole Di Pietro, la neonata deceduta il 12 febbraio 2015 a causa di una grave sofferenza fetale, secondo l’accusa, non riscontrata in sala parto. Dopo la smentita del direttore sanitario sulla presenza del kit, è il giorno della clinica Gibiino nella doppia veste di responsabile e parte civile Davanti al gup Alessandro Ricciardolo, riprende l'udienza preliminare sulla morte di Nicole Di Pietro. A discutere oggi in aula sono Mary Chiaramonte, legale della famiglia della bambina, e Tommaso Tamburino, difensore della clinica Gibiino. "Tutti i medici vanno rinviati a giudizio - è il commento dell'avvocato Chiaramonte - Il momento fondamentale di questo processo è quando la ginecologa, la dottoressa Palermo, non monitora la bambina in una fase in cui c'era già la prova delle due decelarazioni mostruose. Un aggettivo non utilizzato da me: si sentono due medici nelle intercettazioni che stigmatizzano questa scelta". "La fase successiva, quella del parto, è ancora più drammatica - continua il legale della famiglia Di Pietro - L'atteggiamento assunto dai medici dopo l'evento tragico è discordante. Testimoniano versioni diverse, perché è evidente che ogni attore di questa vicenda ha delle responsabilità. Mi sono molto arrabbiata nel leggere le intercettazioni telefoniche perché dietro le spalle di un dramma c'erano dei commenti tesi a escludere la responsabilità di ognuno che sono state chiarite dalle indagini meticolose della Procura". A chiedere il rinvio a giudizio degli imputati è anche l'avvocato Tamburino, legale della casa di cura Gibiino, nella doppia veste di responsabile e parte civile, perché "questo processo necessita di un dibattimento sia per l'accusa che vuole dimostrare la colpevolezza degli imputati sia per la difesa che vuole accertarne l'innocenza". Nei mesi scorsi, il colpo di scena. La casa di cura si è costituita parte civile contro i medici, ritenuti dall’accusa, responsabili della tragica scomparsa. Tra gli imputati, spicca il nome di un membro della famiglia Gibiino, l’anestesista ad oggi accusato di omicidio colposo. Così, oggi in aula il legale è intervenuto spiegando quella che secondo l'avvocato Chiaramonte è invece solo una "inopportuna mossa mediatica per colpire l'opinione pubblica". "C'è un evidente danno d'immagine per la casa di cura Gibiino - spiega l'avvocato Tamburino - che dopo questa vicenda ha dovuto chiudere il punto nascita. Abbiamo l'obiettivo di partecipare al processo per accertare eventuali responsabilità degli imputati a cui chiederemo il risarcimenti dei danni in caso di condanna. La casa di cura è anche responsabile civile cioè dovrebbe eventualmente pagare il risarcimento del danno in caso di condanna. La legge consente questa doppia veste". "La casa di cura ha operato certamente in modo corretto - continua Tamburino - Uno dei punti controversi di questa vicenda è che sarebbe stato staccato il tracciato in sala parto e che la madre non sarebbe stata monitorata per circa due ore. Questo è un comportamento da addebitare esclusivamente ai sanitari perché il macchinario c'era". Un altro caso emblematico è la mancanza di alcune parti del kit di emergenza in sala parto, confermata dalle dichiarazioni del direttore sanitario che ha smentito la prima versione sostenuta davanti ai pm. "E' stato individuato il responsabile di questa mancanza, il neonatologo, al quale è attribuito nel capo d'imputazione la responsabilità di non aver curato la completezza del kit", spiega il legale della clinica Gibiino. L’accusa è sostenuta dai pm Alessandra Tasciotti e Angelo Brugaletta che hanno richiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio colposo per la ginecologa Maria Ausilia Palermo, il neonatologo Antonio Di Pasquale e l’anestesista Giovanni Gibiino. Accusata di false attestazioni, invece, è l’ostetrica Valentina Spanò. La decisione del giudice è attesa per il 9 novembre dopo la discussione degli altri difensori.