Aperto un modesto nucleo nell’ex monastero di Santa Chiara, subito strombazzato come fantasmagorica conquista della città Preceduta (e seguita) dal consueto bombardamento mediatico, con cui si addomestica (o si tenta di farlo) il declinante spirito critico della audience cittadina, ecco finalmente sbocciare a Catania la tanto strombazzata e agognata “Galleria d’Arte Moderna” (ora occupata da una mostra, come sempre, “a cura di…”) modesto nucleo d’un progetto complessivo, subito dato in pasto alla pubblica opinione come mirabolante, stupefacente, realizzazione della grandeur della Pubblica Amministrazione. Allocata in un’ala terrana dell’ex Convento di santa Chiara, già adibita ad Uffici dell’Anagrafe, da non molto trasferiti a San Leone (altro modo di decentrare servizi essenziali, con conseguente disagio per i catanesi) la “Galleria” è parte d’un progetto definitivo di ristrutturazione dell’edificio che resta blindato negli ambulacri del potere assessoriale e dei pochi fideles sparsi a Palazzo della Cultura. Un programma misterioso, alla faccia della tanto strombettata “trasparenza”, il cui obiettivo massimo pare (il condizionale è d’obbligo) sia quello di trasferire i “preziosi” depositi di Castello Ursino (dipinti “minori” e cos’altro resta oscuro) proprio nei “nuovi” locali, ultimando così (chissà quando e chissà se mai si farà) l’arcano disegno dell’uscente Licandro e degli inaccessibili “pensatoi” che lo hanno concepito. Dunque, se davvero questo è l’obiettivo, ecco ricomparire il biblico “nihil sub sole novi” (“nulla di nuovo sotto il sole”) o se preferite più modestamente il reazionario “non c’è niente di nuovo alla luce del sole” (“I Camaleonti”, 1967), che applicato alle forze “rivoluzionare” che reggono le sorti della città di Catania appare davvero come beffa. Un semplice trasferimento di dipinti da un luogo all’altro della città, con aggiunta non si sa di cosa suona davvero come l’ennesima canzonatura agli attoniti catanesi. Ben venga comunque (beninteso) la valorizzazione dei nostri valenti artisti del pennello (anche contemporanei) se davvero questo guida le menti illuminate degli attuali detentori del potere esecutivo. Tuttavia, un po’ di understantement, quadrisindaco Bianco e monoassessore Licandro. Poche stanze per una “Galleria d’Arte Moderna” sono davvero robetta, per quanto meglio che niente in una città da decenni adusa a digiuni culturali, dove tutto sa di confusione, di approssimazione, di totale mancanza di programmazione, di rimandi “sine die”. Si ciancia di trasparenza e poi non si da ai progetti manco la giusta visibilità. Un esempio? Nel 2015 il fuggevole “I Art” (di cui si è persa ogni memoria) ha presentato al suo interno il Festival cinematografico “Sicily Est Festival”, l’unico vero Festival cinematografico mai apparso a Catania, che per totale insipienza della Pubblica Amministrazione (centinaia di manifesti sono rimasti inutilizzati!) è rimasto pressoché sconosciuto, ignorato dal Sindaco Enzo Bianco, dall’Assessore dispensatore di bellezza Orazio Licandro, dall’intera Giunta e da tutto il Consiglio, in tutt’altre faccende affaccendati, a questa roba morti e sotterrati. Silenzio, mutismo assoluto, come per altre neglette iniziative “indigene”, passate inosservate nella nullità culturale di Catania, rotta soltanto dalle proposte private provenienti dall’esterno o dalla “visite” di Bianco alla costruenda, monumentale, fantasmagorica, fontana del Tondo Gioeni, una specie di tela di Penelope in cemento, indecente monumento allo spreco di una città in ginocchio (Fine I puntata; nella prossima la mostra “a cura della…C.O.R.” di Roma “Totò Genio”e l’acquisto degli allestimenti dagli stessi organizzatori).