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“Santo Re, la morte che interroga lo Stato" - Marco Polizzi, presidente PrimoConsumo: ‘Costruire sicurezza

01-06-2025 06:00

Elisa Petrillo

Cronaca, HOMEPAGE IN EVIDENZA,

“Santo Re, la morte che interroga lo Stato" - Marco Polizzi, presidente PrimoConsumo: ‘Costruire sicurezza con umanità e rigore"

Politiche migratorie inadeguate che comiciano a rivelarsi assassine

Ci sono notizie che non si riescono a leggere fino in fondo. Perché non sono solo cronaca: sono una ferita aperta.


La morte di Santo Salvatore Giambattista Re, il 30enne sposato e diventato papà da appena 4 mesi a Catania non è solo una tragedia, è il riflesso nitido di una crisi di sistema che riguarda tutti noi. È l’ennesimo volto di un’Italia che, troppo spesso, lascia soli i suoi cittadini. Lavorava in una bar, viveva la sua quotidianità come tanti. È stato aggredito e ucciso, in pieno giorno, da un parcheggiatore abusivo, un immigrato irregolare con precedenti penali. 

 

Non era un eroe, Santo. Era un uomo qualunque, con una vita normale. Un impiegato, un marito, un cittadino. Eppure la sua storia ci riguarda. Perché se si può morire in pieno giorno, per essersi opposti all’abuso, allora qualcosa si è spezzato molto più in profondità di quanto immaginiamo.

 

A denunciare questa deriva è Marco Polizzi, avvocato e presidente dell’associazione di consumatori PrimoConsumo, che sui social ha affidato un messaggio forte, netto, senza giri di parole. Ha parlato di tragedia annunciata, ha indicato le crepe del sistema, ha chiesto – con urgenza – un cambio di passo che metta al centro non solo la sicurezza, ma la dignità delle persone.

 

E allora abbiamo voluto incontrarlo. Per andare oltre il post, oltre le reazioni a caldo. Per capire come si arriva a questo punto. Per cercare – tra rabbia, responsabilità e soluzioni – una direzione diversa.

 

Questa non è solo un’intervista. È un invito. A guardare negli occhi la realtà, senza paura. E a domandarci tutti, da cittadini prima ancora che da elettori, che Paese vogliamo essere.

 

Avvocato Polizzi, nel suo post ha scritto parole molto forti sul clima di abbandono e illegalità che si respira in città come Catania. Qual è stato il suo primo pensiero quando ha saputo dell’omicidio di Santo Re?
“Quando ho saputo dell’omicidio di Santo Re, ho cercato di capire meglio: ho letto, ascoltato, e ho scoperto la storia di un ragazzo gentile, un lavoratore neo papà che cercava persino di colmare con umanità le lacune dello Stato. Il mio dolore è profondo, e da lì nasce anche la necessità di riflettere sul contesto. Non riesco a separare il cordoglio da ciò che l’ha reso necessario”.

 

Lei ha parlato di “tragedia annunciata”. Ci spiega cosa intende esattamente con questa espressione?
"L’evento può essere definito una tragedia annunciata perché si inserisce in un contesto di degrado sociale e istituzionale che da tempo mostra segnali di allarme ignorati. Ecco alcuni motivi chiave: Presenza quotidiana di persone in grave disagio, anche psichico, spesso senza assistenza adeguata, visibili nelle strade della città. Assenza o inefficacia delle istituzioni nel gestire fenomeni di marginalità, immigrazione irregolare e salute mentale. Crescente tensione sociale, che nasce dall'abbandono di intere fasce di popolazione, sia italiane che straniere, spesso lasciate senza prospettive né tutele. Segnalazioni inascoltate, da cittadini, commercianti e operatori sociali, su situazioni potenzialmente pericolose o degradanti, rimaste prive di risposte concrete. In sintesi: quando per decenni si tollera una miscela esplosiva di abbandono, disagio psichico, povertà estrema e mancanza di controllo, una tragedia può diventare, purtroppo, prevedibile. Quindi "annunciata" non perché voluta, ma perché evitabile".

 

Nel suo intervento dice chiaramente che le politiche migratorie e i cosiddetti “decreti sicurezza” hanno fallito. In che modo, secondo lei, hanno prodotto più insicurezza invece che prevenirla?
"Vivo questa città ogni giorno, e vedo crescere il disagio, l’abbandono, la solitudine di persone – italiane e straniere – che avrebbero bisogno di cure, ascolto, percorsi reali di inclusione. Chiamarla una tragedia annunciata non significa togliere umanità alla vittima, ma riconoscere un fallimento collettivo e politico. Le politiche migratorie non hanno saputo offrire né accoglienza né soluzioni: solo abbandono e marginalità. E il "decreto sicurezza" non ha migliorato nulla, anzi: ha ridotto i percorsi di regolarizzazione, ostacolato l’integrazione e persino limitato la possibilità per i cittadini di manifestare spontaneamente dolore e dissenso in piazza, come se la sicurezza si ottenesse reprimendo la partecipazione civile. In momenti come questo, cordoglio e riflessione non possono essere separati. Restare umani significa anche denunciare ciò che è disumano".

 

4. C’è un punto particolarmente critico in queste politiche che ritiene abbia favorito indirettamente episodi come questo?
"La legge Bossi-Fini, in vigore dal 2002, ha cambiato radicalmente il sistema d’ingresso per lavoratori stranieri in Italia. Ha reso l’immigrazione regolare quasi impossibile, subordinandola a flussi stabiliti dallo Stato (i "decreti flussi") spesso scollegati dalla reale domanda di lavoro. Il risultato? La nascita e l’ampliamento di una zona grigia di irregolarità che produce insicurezza, sfruttamento e marginalità. Prima di quella legge, invece, esisteva un meccanismo semplice e razionale: lo sponsor che creava corridoi umanitari. Un cittadino o datore di lavoro italiano, con un’offerta concreta di impiego, poteva garantire l’ingresso legale di uno straniero. Era un modello a costo zero per lo Stato, che rispondeva a un bisogno reale del mercato e favoriva l’integrazione immediata. Con Bossi-Fini, quello strumento è stato smantellato in nome della “sicurezza”, ma ha prodotto l’effetto opposto: più clandestinità, più precarietà, più esclusione. È il momento di riconoscere che senza vie legali di accesso, l’immigrazione non si ferma: si degrada. E che un ritorno a forme di sponsorizzazione responsabile sarebbe oggi una scelta di buonsenso, utile sia ai migranti sia al Paese".

 

La risposta istituzionale a questi fatti, a suo avviso, è più orientata a rassicurare l’opinione pubblica o a risolvere realmente i problemi?
“La vicenda di Santo Re ci sbatte in faccia una realtà amara: le politiche migratorie in Italia non sono orientate a risolvere i problemi, ma solo a gestire la percezione pubblica. Di fronte a fenomeni complessi come l’immigrazione, le istituzioni adottano misure che funzionano più come post sui social: servono a “tranquillizzare” l’elettorato, a comunicare fermezza, a ottenere consenso istantaneo — ma sono totalmente inefficaci sul piano concreto”. Il decreto sicurezza ne è un esempio lampante. La legge Bossi-Fini, da oltre 20 anni, ha abolito l’unico canale legale, immediato e responsabile d’ingresso: lo sponsor. E così si è scelto, consapevolmente, di spingere le persone verso l’irregolarità per poi usarle come capro espiatorio. Nel frattempo, chi vive nelle città vede crescere ogni giorno il numero di persone allo sbando: disperati senza aiuto, senza documenti, senza prospettive, a volte pericolosi, più spesso solo invisibili.

La risposta istituzionale non è mai sistemica, mai umana, mai lungimirante. È una risposta di facciata, costruita per rassicurare come si fa con i follower: "stiamo intervenendo", "abbiamo stretto le maglie", "tolleranza zero". Ma dietro quella narrazione non c’è sicurezza: c’è abbandono, solitudine, conflitto sociale e, talvolta, tragedia.

 

Nel suo post propone una visione diversa della sicurezza, che parte dalla giustizia sociale. Che cosa significa, in concreto, “costruire sicurezza con umanità e rigore”? "Ottima domanda, ed è cruciale dare risposte concrete, non solo critiche. Quando si parla di costruire sicurezza con umanità e rigore, si intende un approccio realistico, coerente e civile alla gestione dell'immigrazione e della convivenza sociale. Ecco 5 proposte concrete, attuabili, basate sull’equilibrio tra diritti e responsabilità:

 1. Ripristinare e aggiornare il sistema dello "sponsor".

 Permettere a cittadini e datori di lavoro di fare da garanti per l’ingresso legale di stranieri, sulla base di offerte di lavoro reali. Integrazione immediata attraverso l’occupazione, con costi minimi per lo Stato. Controllo semplice e trasparente da parte delle prefetture/locali. Questo crea ingressi regolari, impedisce la clandestinità e risponde alle esigenze del mercato del lavoro.

 2. Creare un sistema unico di presa in carico del disagio. 

Integrare servizi sanitari, sociali e territoriali per intercettare precocemente situazioni di disagio psichico, dipendenze o marginalità, a prescindere dalla nazionalità. Unità mobili multidisciplinari nelle città, con mediatori culturali e psicologi, per prevenire escalation di conflitti. La sicurezza nasce dalla cura e dalla prevenzione, non dall’abbandono.

 3. Riformare profondamente la legge Bossi-Fini. 

Superarla con una nuova legge sull’immigrazione basata su canali legali flessibili, permessi di soggiorno legati a progetti di integrazione, e criteri chiari e verificabili. Prevedere permessi temporanei per formazione e tirocini, anche con partnership tra pubblico e privato.

 4. Abrogare gli effetti repressivi e inefficaci del “decreto sicurezza”. 

Restituire diritti di residenza e accesso ai servizi a chi è in regola o si sta regolarizzando. Garantire la libertà di manifestare e di partecipare alla vita pubblica, nei limiti della legalità. Sostituire la logica “punitiva” con una logica costruttiva e inclusiva, che responsabilizza chi arriva.

 5. Investire nei territori, non solo in ordine pubblico

Finanziare progetti di coabitazione sociale, volontariato, integrazione linguistica e culturale a livello di quartiere. Coinvolgere enti locali, scuole, associazioni, parrocchie, centri sportivi, con fondi strutturali e continui, non emergenziali.

 La sicurezza non si costruisce con più pattuglie, ma con più reti.  In sintesi: Umanità significa riconoscere la dignità e i bisogni delle persone. Rigore significa avere regole chiare, canali legali, controlli seri e un sistema che responsabilizza tutti. Sicurezza vera è prevenzione, non propaganda. Non sono indulgente verso l’immigrazione irregolare, né verso chi delinque o si sottrae alle regole. Al contrario: un sistema serio deve far rispettare le leggi, garantire controlli, ed espellere chi rappresenta un pericolo o rifiuta ogni percorso di legalità. Ma per farlo con efficacia, servono canali legali, realistici e ordinati. Chi entra legalmente, lavora, si integra e rispetta le regole deve essere sostenuto. Chi arriva illegalmente e resta in un limbo perché non esistono vie di regolarizzazione diventa parte del problema, alimentando insicurezza e conflitto. Per questo serve superare la legge Bossi-Fini, che ha tagliato ogni via d’accesso legale.

Introdurre strumenti come lo sponsor: chi offre lavoro e garantisce inserimento, permetta l’ingresso legale. Riformare il decreto sicurezza: meno slogan, più prevenzione e percorsi di legalità. Creare una presa in carico sociale e sanitaria per chi è in stato di grave disagio. Espellere con efficienza chi rifiuta ogni forma di integrazione o rappresenta una minaccia. L’indulgenza verso il caos non è umanità.

La sicurezza vera nasce da regole giuste, percorsi chiari e una presenza dello Stato che sia forte, ma anche giusta".

 

A chi attribuisce le principali responsabilità politiche di questa situazione? È solo un problema di chi governa, o anche dell’opposizione che spesso cavalca certe paure?
“La responsabilità è della classe politica, che da anni ha smesso di cercare soluzioni e ha iniziato a cercare follower. L’arrivo dei social ha trasformato la politica in teatro: slogan, decreti inefficaci, emergenze sbandierate a ogni titolo di giornale. Ma intanto le città si riempiono di marginalità, insicurezza e solitudine. Governare significa prevenire, non rincorrere like. E su questo, il fallimento è totale”.

 

 Ha dedicato un pensiero a Santo Re e alla sua famiglia. Se potesse dire qualcosa alla cittadinanza oggi, dopo questo fatto, cosa direbbe?
"Santo Re: un nome e un destino che parlano da soli. Come Rosa Parks fu il simbolo di un risveglio civile in America, la sua morte può diventare per l’Italia un punto di non ritorno. Ma solo se i cittadini, a partire da Catania, sapranno agire uniti. La politica non è all’altezza, assente nel comprendere e indegna nel reagire. Il cambiamento non può più aspettare i palazzi: deve partire dal basso, dalla coscienza collettiva. Ora!"

 

Infine, che appello sente di fare, da avvocato e da cittadino, a chi ha il potere di cambiare le cose?
"Se il Consiglio dei Ministri vuole dimostrare coraggio e dignità, offra a Santo Re i funerali di Stato. Lo faccia non solo per onorarne la memoria, ma per riconoscere l’opera di supplenza civile che ha tentato di fronte alle falle dello Stato. Lo faccia per meriti civili, perché ha pagato con la vita un gesto di responsabilità che nessuno gli aveva imposto. E offra una pensione civile alla madre della sua bambina, una neonata di appena quattro mesi rimasta orfana e senza sostegno. La ferita è profonda, per la famiglia, per Catania, per l’Italia intera. Un gesto dello Stato non la rimarginerà, ma potrà almeno restituire un segnale di giustizia e umanità".

 

Non basta il codice penale per costruire una società giusta. Serve qualcosa di più sottile e più potente: una cultura condivisa dell’empatia, della responsabilità, della prossimità. Non si tratta solo di prevenire i reati. Si tratta di riconoscere l’altro come essere umano, di educare al rispetto delle regole ma anche al rispetto dell’altro.


Perché ogni gesto violento nasce prima in una frattura emotiva, culturale, relazionale. Ecco perché oggi, più che mai, parlare di sicurezza significa anche parlare di educazione sentimentale. Una sicurezza che non nasce solo dalla repressione, ma da una società capace di riconoscersi nei propri legami, nei propri valori e nella propria umanità.

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