L’ultima grande trovata della Città Metropolitana di Catania si chiama pista ciclopedonale nell’Oasi del Simeto.
Il nome evoca scenari bucolici di biciclette che scorrono tra distese verdi, il canto degli uccellini e famiglie in gita.
Ma, come spesso accade, dietro l'ennesima operazione di facciata c’è poco di utile, e ancora meno di sensato.
Cominciamo dai fatti: i ciclisti a Catania sono pochi, pochissimi.
Le strade della città sembrano progettate per respingere chiunque abbia il coraggio di usare la bicicletta come mezzo di trasporto. Tra buche, traffico caotico e automobilisti che non rispettano nessuno, pedalare qui è un'impresa da eroi.
E allora, a chi servirà davvero questa pista ciclabile di 9 chilometri immersa nella riserva naturale?
Si parla di un investimento di oltre 1,3 milioni di euro per un’opera che, nei fatti, sarà utilizzata da una manciata di persone la domenica mattina o da qualche turista sperduto.
Il grosso della popolazione continuerà a usare l’auto, visto che il trasporto pubblico è praticamente inesistente e le strade sono quel che sono.
Eppure, eccoci qui: fondi pubblici per un’infrastruttura che non risponde alle esigenze della città.
Perché non investire queste risorse per migliorare le piste ciclabili urbane, dove realmente i cittadini potrebbero usarle per andare a lavoro o spostarsi quotidianamente?
La risposta è semplice: è molto più facile costruire una pista nascosta, in una zona dove non disturba nessuno. O quasi.
L’ipocrisia della "mobilità verde"
L’Oasi del Simeto è una riserva naturale protetta, istituita per tutelare un ecosistema prezioso.
Ma la realizzazione di una pista ciclopedonale al suo interno rischia di contraddire gli stessi obiettivi per cui la riserva è stata creata. Da un lato, si dichiara di voler promuovere la sostenibilità e la tutela dell’ambiente; dall’altro, si prevede di modificare terreni delicati, alterando un'area fondamentale per la migrazione degli uccelli.
L'Oasi del Simeto, infatti, fu istituita nel 1984 proprio per proteggere una zona di sosta cruciale per molte specie di uccelli migratori. Ora, con l’afflusso di ciclisti e pedoni, quegli equilibri che si cercava di proteggere rischiano di essere compromessi.
È difficile pensare che l'accesso continuo di persone, per quanto “ecologiche”, non disturbi la fauna.
Si tratta di un’ipocrisia: in nome della "mobilità verde", si minaccia proprio quell’ambiente che si dice di voler preservare.
Se davvero lo scopo è la tutela ambientale, forse sarebbe stato più coerente investire in altre aree più adatte a un'infrastruttura di questo tipo, e non in una riserva naturale apparentemente di grande rilevanza per la biodiversità.
Ma c’è un altro aspetto di questa storia che solleva non poche polemiche: l’area interessata dal progetto è costellata di abitazioni, molte delle quali costruite abusivamente.
Sì, perché la zona in questione, ben prima che fosse istituita la riserva, era già stata colonizzata da edifici eretti senza permessi regolari.
Queste case, frutto di un abusivismo diffuso e tollerato per anni, rischiano di essere espropriate o demolite proprio per tutelare l'ecosistema.
Le case no, la pista si.
In fondo, è sempre lo stesso copione: soldi pubblici spesi per opere che servono a fare bella figura, non a risolvere i problemi.
Le vere emergenze, come le strade disastrate, il trasporto pubblico inadeguato, e la sicurezza dei ciclisti in città, restano sullo sfondo.
Meglio investire in una pista nascosta in una riserva, dove le polemiche saranno poche e lontane dagli occhi di chi ogni giorno affronta il traffico cittadino.
Così, mentre i pochi ciclisti che osano pedalare a Catania continueranno a sfidare buche e automobilisti indisciplinati, nell’Oasi del Simeto avremo una pista ciclabile deserta, circondata da case abusive a rischio demolizione e uccelli migratori disturbati da un turismo che sa tanto di paravento ecologista.
Ma l'importante, alla fine, è che si possa dire che qualcosa è stato fatto.