Dalla città con la TARI più alta d'Italia ci si aspetterebbe un centro come Lugano, Edimburgo o, volendo essere più magnanimi, Aosta; invece, basta camminare per le vie di Catania, persino le più centrali, per rendersi conto del contrario.
Intanto, spieghiamo come funziona e a cosa serve la TARI.
La Tassa sui Rifiuti, o TARI, è l'imposta destinata a finanziare il servizio di raccolta, smaltimento e gestione dei rifiuti. Nata nel 2014 dalle ceneri dei precedenti dazi come la TARES e la TARSU, aveva l’obiettivo di semplificare il sistema. Tuttavia, la TARI si è trasformata in un indicatore delle disparità tra le città italiane in termini di efficienza dei servizi e qualità della vita.
Cioè, serve anche a raccogliere dei dati per capire l'andazzo delle città: la quantità di rifiuti prodotti, il tempo di smaltimento, etc...
Secondo il Rapporto 2024 dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva, il costo medio della TARI ha raggiunto i 329 euro annui per famiglia, con un incremento del 2,6% rispetto al 2023.
Aumento ingiustificato, dato l'extragettito di 20 miliardi del 2023 che, anzi, servirebbe proprio a far diminuire le tasse e non ad aumentarle ogni anno di qualche punto percentuale. Ma veniamo a noi.
Finalmente primi in qualcosa! Catania detiene il record della tariffa più alta in Italia, con una media di 594 euro, mentre Trento si conferma il capoluogo più economico con 183 euro.
Pagare la TARI più alta d'Italia e vedere che Trento (una delle città più pulite in Italia) paga esattamente tre volte meno di noi è qualcosa di inspiegabile.
A Catania, il costo elevato della TARI, a quanto pare, si intreccerebbe con problematiche strutturali. Ma quali? Certo, è vero che la raccolta differenziata nel 2022 si attestava al 22% ed oggi al 37%, ma rimane utopico l'obiettivo nazionale del 65%, mentre discariche e abbandono illegale di rifiuti rappresentano più che una realtà: una vera e propria pratica folkloristica. Mentre il Nord Italia supera il 70%, la Sicilia si ferma al 42%.
Ma bisogna anche mettersi nei panni di chi paga 600 euro per un servizio che, effettivamente, non esiste. Il cittadino diventa nemico della sua stessa città, e diventa difficile, difficilissimo, patteggiare per chi se ne frega o per chi se n'è sempre fregato.
Ogni quartiere ha la sua croce:
- Centro Storico: Cumuli di rifiuti e cenere vulcanica spesso non vengono rimossi tempestivamente, alimentando un'immagine di degrado che penalizza prima del turismo i cittadini stessi.
- Librino: Qui la situazione è aggravata da un’elevata densità abitativa e una scarsa disponibilità di isole ecologiche. Il risultato è una raccolta discontinua e il proliferare di discariche abusive. Ma sappiamo bene che questo è l'ultimo problema di Librino.
- Ognina: Un po' meglio, con un livello di raccolta differenziata più alto grazie alla presenza di associazioni di volontariato e una rete infrastrutturale più efficiente.
Secondo l’assessore all’ecologia Massimo Pesce, la gestione dei rifiuti a Catania ha sofferto per anni di mancanza di infrastrutture adeguate, evasione tributaria diffusa e scarsa sensibilità ambientale.
Su questo dovremmo rimanere un po' perplessi: la miglior forma di sensibilizzazione dovrebbe essere vedere che il pagamento della tassa garantisca un servizio adeguato. Nessun convegno, campagna di sensibilizzazione, chiacchierata greenwashing o consulenza ecofriendly sono efficaci quanto dare al cittadino (e quindi gratificarlo) quel che gli spetta.
Nel 2022, in Sicilia sono stati prodotti circa 2,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, con una media pro capite di 439 kg, inferiore alla media nazionale di 494 kg. Oltre il danno, come sempre, anche la beffa.