Dal ministero della consolazione di Musumeci a quello di Lollobrigida.
Dai fascisti – o meglio, quelli che si sentono tali per poi rivelarsi affaristi da quattro soldi ai gauce caviar di Repubblica che gli fanno da sponsor.
Travaglio non risparmia nessuno, né a destra né a sinistra.
E nemmeno i giornalisti dalla lingua lunga, dove per lingua lunga – ahiloro – non si intende il coraggio di dire le cose come stanno, ma la distanza a cui riescono a leccare i culi dei potenti.
Questo è I migliori danni della nostra vita, lo spettacolo che ripercorre gli ultimi anni (o drammi) della storia italiana, scanditi dai poteri corrotti della politica, della finanza e dei media.
Quei poteri che da sempre manipolano la volontà popolare, trasformando ogni richiesta di cambiamento in un’eterna restaurazione.
Dall'immobilismo di Monti e Draghi, al finto progressismo di Letta e Renzi, fino al ritorno della destra con Meloni & Co.
In questo contesto non manca la storica sovranità limitata dell’Italia, da decenni subordinata ai capi europei e agli Stati Uniti, che puntualmente ci trascinano in guerre contrarie ai nostri interessi, sostenute da menzogne. Dalle falsità sui sacrifici imposti ai ceti più deboli per favorire ricchi e corrotti, alle narrazioni distorte su Ucraina, Russia, Israele, Hamas e Cina.
Travaglio dedica una parte del suo monologo a Nello Musumeci: “Berlusconi lo ha fatto fuori e gli hanno dato un ministero di risarcimento… il ‘Ministero del Mare e del Sud’. Poi hanno tolto ‘Sud’, che è finito a Fitto, e il mare – con tutti i pesci – a Lollobrigida.”, facendo tremare il Metropolitan che, apriamo parentesi, era pienissimo.
Musumeci può ritenersi fortunato: Travaglio ci è andato leggero.
Diversa sorte per Lollobrigida, Nordio, Giuli, Enrico Letta, l’ex compagno e la sorella della Meloni.
“Per fortuna abbiamo Lollobrigida: tutti i vignettisti, i comici di satira e i giornalisti gli devono tantissimo,” prosegue Travaglio, dando il via a un diluvio di grottesche citazioni del ministro dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e – perché no – delle Foreste.
Tra queste, l’episodio della fermata del treno è il più sobrio.
Non si possono fare spoiler su Sangiuliano, il fu ministro della Cultura, e Giuli, ministro attuale, perché sono il pezzo forte della serata con i video di Giuli che suona flauti medievali e inneggia alle divinità pagane e Sangiuliano che… vabbè, fa Sangiuliano.
Non mancano frecciate per Alain Elkann (Repubblica) e il celebre pezzo sui lanzichenecchi, metafora perfetta della distanza tra una sinistra ormai solo presunta e il popolo.
Parte dello spettacolo è stata dedicata a Repubblica, Corriere, Libero, Il Messaggero… escono tutte le contraddizioni dei giornali che per due anni hanno millantato la vittoria dell'Ucraina e che adesso (e se ne accorgono solo ora) sono costretti a ritirare tutto.
Insomma, questo spettacolo è un festival dello sputtanamento dove perdono tutti, persino noi.
Tre ore di spettacolo (Ben-Hur), nessuna pausa e standing ovation sul finale, il tutto senza avvertire lo scorrere del tempo per due semplici motivi: Travaglio è più che bravo, va a braccio e lo fa bene e il secondo motivo, banalmente, è il contenuto; finché avremo una classe politica che oscillerà tra Fantozzi e Diabolik, ai giornalisti il lavoro non mancherà mai.