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Catania, viale Kennedy: da ritrovo balneare a regno del randagismo

19-11-2016 04:36

Barbara Corbellini

export, pontificale 2015, maresciallo salvo mirarchi, sambuca di sicilia, carlo pastura, anagrafe,

Catania, viale Kennedy: da ritrovo balneare a regno del randagismo

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La città etnea non riesce a liberarsi dallo spettro dei branchi: le proposte di modifica per rafforzare la legge regionale del 3 luglio 2000 sul randagismo sono bloccate. Pochi deputati presenti all’audizione dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Al viale Kennedy di Catania è facile imbattersi in branchi di cani randagi che sorvegliano alcune aree e in singoli cani liberi che si aggirano all’ingresso di alcuni lidi.



La zona è diventata impraticabile anche nelle ore mattutine e oltre al timore dei passanti e a pensare alle condizioni dei cani lasciati in balìa di loro stessi, la situazione è sicuramente una brutta pubblicità per turisti o chiunque per lavoro alloggi negli alberghi di viale Kennedy.
Da un lato troviamo lussuosi hotel e dall’altro lato della strada l’ingresso dei lidi. In mezzo, nelle stradine più nascoste, gruppi di cani randagi liberi che allontanano chiunque si avvicini. Proprio un nuovo gruppo di cani è stato avvistato vicino alla struttura del Palaghiaccio. La Plaja è diventata un vero e proprio regno del randagismo.



Il problema ovviamente non sono i cani in se ma la mala gestione di un fenomeno che purtroppo deriva dall’abbandono, dall’utilizzo dell’animale come strumento per intimorire, da una scarsa diffusione del concetto di sterilizzazione, e in generale da una cultura che concepisce ancora il cane come un oggetto. 



Ormai, in ogni periodo dell’anno è possibile incappare in queste situazioni e se qualcuno del posto risponde in merito alla situazione, afferma che “tanto il cane non fa niente anche se è sciolto”. Ma  in estate, ad esempio, famiglie con bambini frequentano i lidi e questo può diventare un problema. Si potrebbero innescare situazioni pericolose.
Alcuni dei cani sciolti in prossimità dei lidi vivono in quella dimensione sospesa di ambiguità in cui non sono proprio dei randagi perché qualcuno gli fornisce cibo, ma non sono nemmeno di proprietà.



In riferimento a questa preoccupante situazione, proprio la scorsa settimana si è svolta all’Ars un’audizione il cui scopo è stato quello di prendere in esame alcune proposte di legge finalizzate a modificare la legge regionale del 3 luglio 2000 in materia di tutela degli animali da affezione e prevenzione del randagismo.



Angela Foti, deputato regionale all’Ars e Vice Presidente del Gruppo Parlamentare Movimento 5 Stelle, presente alla seduta, ha affermato che si è cercato di prendere in considerazione le numerose proposte di legge per il contrasto al randagismo accorpando i vari punti e arrivando però  più o meno allo stesso punto di sempre, cioè  all’articolo 18.
“Di fatto i lavori sono fermi perché i deputati presenti non erano tanti – dichiara la Foti -  è stato trattato il disegno di legge sul randagismo, ci sono varie proposte a riguardo per rafforzare la norma già esistente ma ancora siamo fermi all’articolo 18. Per quello a cui si è arrivato sino ad ora molto probabilmente si pensa che le sanzioni che verranno fatte dai comuni non andranno più nelle casse regionali”.



La proposta di legge del 3 luglio 2000 è incentrata principalmente sull’istituzione dell’anagrafe canina e sull’obbligo da parte dei proprietari di cani di registrare l’animale all’anagrafe, sulla gestione e organizzazione di rifugi sanitari pubblici, e sulla cattura e custodia dei randagi che devono essere portati nei rifugi pubblici.



Con molti dei deputati assenti durante la seduta ancora non si può procedere nei lavori da un punto di vista legislativo, ma esattamente su cosa si basano le proposte di legge e quali sono le modifiche di cui si è cercato di discutere?



“La proposta di legge si basa sulla necessità di creare un maggior coinvolgimento da parte dei comuni nella gestione del fenomeno del randagismo  - afferma la Foti - invitandoli a realizzare  frequentemente campagne per la sterilizzazione e fornire assistenza di tutti gli strumenti necessari che servono per questo scopo”.



“Vorremmo anche che le strutture comunali dei canili venissero migliorate sotto ogni punto di vista e che fossero solo ed esclusivamente di competenza comunale, non più gestite anche da privati – prosegue la Foti - È assurdo poi che ci voglia molto tempo affinché l’Asp veterinaria intervenga per effettuare le sterilizzazioni sul territorio, da anni si parla di questo problema”.



La Foti fa anche un triste confronto con le altre città italiane: “In altre città, nelle periferie non esiste questo problema, non ci sono branchi di cani randagi. È un fatto culturale che va tenuto sotto controllo. In Sicilia è capitato, ad esempio, che alcuni comuni cercavano di risolvere il problema del randagismo prelevando i cani del loro territorio per rilasciarli nel territorio del comune accanto. Non c’è collaborazione tra le istituzioni, tra i comuni stessi, c’è un atteggiamento culturale non adeguato a risolvere il problema. Le associazioni da sole o i cittadini non possono fare molto, ci vuole un dialogo e una collaborazione tra tutte le parti, ma in prima di tutto deve partire dai comuni”.



“Esistono situazioni che ci sono state segnalate dai cittadini molto preoccupanti. Nella zona industriale di Catania i cani randagi si rifugiano nei capannoni abbandonati e alcuni residenti della zona di Librino mi hanno segnalato che nella zona la criminalità è propensa ai combattimenti tra cani quindi succede che alcuni soggetti prelevano i randagi per portarli ai gruppi criminali locali, i quali li allenano per i combattimenti. Infatti in certi periodi interi branchi di cani spariscono nel nulla, all'improvviso, e la loro assenza viene attribuita a questo fenomeno. La sterilizzazione è l’arma su cui dobbiamo puntare, ma bisogna procedere rafforzando la legge”. 


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