Affidato, non si sa bene a chi, il compito di ammaliare le produzioni cinematografiche per calamitarne l’attenzione -intitolando l’ignobile ed errata scopiazzatura dalle poche fonti esistenti “Catania come set: la storia”- il bizzarro sito comunale della Catania Film Commission incappa, sempre spericolando in un italiano approssimativo, in un sequela di ridicole bubbole delle quali si da qui amara contezza per amore della verità storica a perenne disdoro del dilettantismo degli ignoti compilatori e dei reggenti politici dell’Amministrazione Comunale Diamo dunque inizio, sconsolatamente ahinoi, al museo degli orrori propalato dallo staff del Gabinetto del Sindaco. 1) Catania non “fu denominata la Hollywood sul Simeto”, Catania “è denominata la Hollywood sul Simeto”, ovviamente dai posteri contemporanei a seguito della riscoperta d’una capacità produttiva, dovuta soprattutto ad un imprenditore di respiro mondiale quale è stato Alfredo Alonzo, fondatore della “Etna Film”, oggi a malapena ricordato dalla toponomastica cittadina. 2) Passando dall’uso improprio dell’ausiliare essere alle case di produzione, nelle striminzite righe dedicate ad una storia che ben altro peso ebbe nella cinematografia nazionale - qui immiserita ben al di sotto della marginalità laddove si sarebbe dovuto celebrarne il peso(1) - il sito assomma tra le case di produzione sorte in quegli anni in città la “Morgana”, errando sulla data di nascita (1913 e non nel 1914, subito abbandonata e con la quale il fondatore Nino Martoglio non girò un solo metro di pellicola), evidentemente scambiandola con la nuova “Morgana Films” fondata invece a Roma dallo stesso Martoglio insieme a Roberto Danesi nel gennaio del 1914 e con la quale il “moschettiere” di Belpasso girerà, tra gli altri, il mitico Sperduti nel buio (1914) con Giovanni Grasso e Virginia Balistrieri. E proseguiamo con le corbellerie. 3) “Catania e l’area dell’Etna sono stati set de L’isola di Calypso: Ulisse e Polifemo (L’ile de Calypso ou Le Géant Polyfème/Ulysses, 1905 e non 1906) del leggendario “mago” Georges Méliès (scritto privo di accenti che nella lingua francese non sembrano proprio pleonastici), un filmetto lungo poco più di 4’, soltanto “ambientato” in Sicilia in un set di cartone (l’esterno di una grotta da cui fuoriesce in sovrimpressione prima una mano e poi la testa del gigante, che subito Ulisse acceca con una lancia), ovviamente tutto ricostruito in studio. Evidentemente gli oscuri compilatori non distinguono la differenza tra il termine “ambientato” e “girato”. Tiremm innanz! 4) “Il primo film del neorealismo Sperduti nel buio…è stato prodotto nel 1914 e girato da Nino Martoglio”. Così sentenzia l’aborto storico del web comunale, ignorando che non soltanto quello non è il primo film realista, ma altresì che il termine “neorealismo” si diffonderà a partire dalla fine della seconda guerra mondiale per indicare le opere di quel grandioso moto di rinnovamento del cinema italiano susseguente alla fine del fascismo e ai cosiddetti film stucchevoli dei “telefoni bianchi”. 5) Segue un rapido elenco di alcuni film, pescati a caso, che nulla hanno a che vedere con il set Catania, poiché parzialmente girati in territorio etneo, paesi limitrofi o altre località siciliane: Cavalleria rusticana (1939) di Amleto Palermi (girato in territorio di Paternò), il cui remake del 1953 di Carmine Gallone (sempre impropriamente citato dagli “esperti plagiari” di Enzo Bianco) è girato a Noto, in provincia di Siracusa e Misterbianco (della clamorosa polemica insorta tra Gallone e Vizzini, la Catania Film Commission, more solito, “a questa roba è morta e sotterrata”). Citato anche L’avventura (1960) di Michelangelo Antonioni che percorre le Isole Eolie (Lisca Bianca), Messina, Noto e Taormina, ma da Catania non passa proprio. Tuttavia, generosamente, la Catania Film Commission - che di Catania dovrebbe occuparsi soltanto - in un improvviso delirio d’onnipotenza (o di munifica generosità) all’improvviso estende la propria competenza territoriale a tutta la Sicilia, surrogando la Sicilia Film Commission (organismo della Regione Siciliana con sede a Palermo, che ben poche attenzioni ha fino ad oggi riservato a Catania), sciorinando una sequela di film, ovviamente pescati a casaccio nel mare magnum dei titoli disponibili, nessuno dei quali contiene una sola sequenza girata nella nostra città: Il Padrino (la trilogia) di Francis Ford Coppola (Marina di Cottone, Giarre, Acireale), Il Siciliano (1987) di Michael Cimino (Sutera, Castellamare, S. Vito Lo Capo, Mineo), The goddess of Love (1988) di Woody Allen (Taormina), Liolà (1963) di Alessandro Blasetti (varie zone della provincia), Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini (Basilicata, Calabria, Lazio, Puglia e solo una sequenza sull’Etna), Malizia (1973) di Salvatore Samperi (Acireale), Cavalleria rusticana (1980) di Franco Zeffirelli (Vizzini, la “Cunziria” e Palazzolo Acreide), Grande Grosso e Verdone di Carlo Verdone, la cui sequenza (tra l’altro girata sull’Etna) è stata eliminata in fase di montaggio. Un volgare pastrocchio, vero e proprio manuale di orrori, imperfezioni, palle, panzane, ingiustificabili strafalcioni tipici della proverbiale superficialità e della totale mancanza di professionalità con cui si gestisce un organismo che avrebbe potuto, e dovuto, far rientrare la città in un circolo virtuoso come volano dell’economia territoriale (così come è accaduto in molte altre zone del paese) seguendo già sperimentati modelli europei, primo tra tutti ad es. quello francese, la cosiddetta “Hollywood sul Rodano”, che ha creato una S.p.A. in grado di agire come vero e proprio produttore. Un’utopia del tutto irrealizzabile in questa città governata da politici dal fiato corto che non sanno neppure che l’ABC, ancora nel web inserito tra le sale cinematografiche, da molti anni svolge esclusivamente attività teatrale. Intanto in attesa di Clint Eastwood accontentiamoci di Puddu u pizzaru, noto metteur en scène di pizze alla fraudolenta. Mi sia consentito di citare il mio ultimo lavoro, La Sfinge dello Jonio. Catania nel cinema muto (1896-1930), Algra Editore, Viagrande, 2016, dal quale mi auguro si evince senza trionfalismi l’importanza che la città riveste nella cinematografia nazionale dei primi decenni.