In un teatro Massimo Vincenzo Bellini, pieno come non mai, è andata in scena la prima stagionale.
L’opera di esordio, quest’anno è stata la Carmen di Georges Bizet, opera di repertorio, non certo facile per gli esecutori, ma spettacolo che tiene il pubblico incollato alla poltrona, sia per la musica, sia per la trama.
Lo spettatore non si annoia certo in quelle due ore e mezza di musica (tre ore e più, se si considerano le pause).
Sembra proprio che la nuova dirigenza stia dando risultati che, fino a qualche mese fa, sarebbero stati impensabili.
Un sold-out del genere non si vedeva da anni.
E questa Carmen è stato il primo centro di, speriamo, tanti risultati, che possano far tornare il teatro ai fasti del passato.
Una grande Carmen, gradita al pubblico, più che entusiasta.
E pensare che i suoi esordi all’Opéra Comique, nel 1875, furono tutt’altro che esaltanti. Tanto era all’avanguardia il racconto di Merimèe, che si ritenne l’opera lirica che ne prendeva spunto poco idonea alle famiglie e addirittura scabrosa. Ciò causò liti furibonde fra Bizet e la dirigenza del teatro che arrivò a richiedere censure, che videro i due librettisti, di Ludovic Halévi ed Henri Meilhac costretti a revisionare il libretto in taluni passaggi.
Direttore d’orchestra e maestro concertatore, in questa occasione, è stato il maestro Fabrizio Maria Carminati; già noto al pubblico catanese. Ricordiamo tra l’altro due recenti esecuzioni de “I Puritani” e di “Adelson e Salvini”, di Vincenzo Bellini.
Il maestro Carminati è da poco stato nominato direttore artistico del nostro amato teatro e, come si poteva immaginare, ci teneva parecchio a lasciare un segno in questa prima rappresentazione della stagione lirica 2020.
Così è stato. L’orchestra, magistralmente diretta, ha risposto agli input del suo direttore e si è compiuta quell’alchimia necessaria a fare di una rappresentazione operistica una esecuzione che resterà nei ricordi del pubblico per un bel po’.
Anche il coro, guidato dal maestro
Luigi Petrozziello
, ha dato prova di quanto valore alberghi in esso.
Un binomio questo fra orchestra e coro, che se intelligentemente sfruttato, potrebbe essere uno dei punti di forza del teatro e contribuire a rilanciarlo definitivamente.
E dopo l’applauso scrosciante del pubblico all’inno di Mameli, dopo l’applauso altrettanto caloroso al termine della sinfonia, il primo consenso lo hanno ricevuto i bambini del coro delle voci bianche interscolastico Vincenzo Bellini. Non solo per quel sentimento di tenerezza che inducono, ma perché sono stati davvero bravi e puntuali, sia vocalmente che scenicamente.
Relativamente alla regia di
Luca Verdone
, nulla da dire. Non ha entusiasmato il movimento delle masse ed è apparsa troppo statica per un’opera che necessita di frizzantezza, ma nel complesso è risultata gradevole. Ciò vale anche per le scene. Belli i costumi.
Relativamente ai personaggi:
Bravo davvero il tenore
Gaston Rivero
, che ha impersonato il ruolo di Don José. Voce sempre ben proiettata, preciso nel fraseggio. Ha molto ben fatto nel duetto con Micaëla, per poi consegnare al pubblico una romanza molto ben eseguita, nel secondo atto, con una perla finale, un sibemolle ben messo e poi in diminuendo, proprio come richiesto dal compositore e quasi mai eseguito, a causa della difficoltà.
Gradevole nell’insieme l’Escamillo di
Simone Alberghini
, partito in sordina, in occasione della romanza del toreador, pur eseguita con gusto, ma che ha avuto la capacità di crescere nel corso dell’opera entrando nel personaggio. Giustamente applaudito al termine, dal pubblico.
La Micaëla di
Daniela Schillaci
è stata l’incredibile sorpresa della serata. Sempre dentro il personaggio, sia vocalmente, sia scenicamente, nonostante il ruolo non si addica più alla sua vocalità, ormai decisamente drammatica. Nonostante i volumi da soprano “spinto” non le sono mancate le emissioni morbide e, nel terzo atto, ha decisamente rubato la scena a tutti, diventando la protagonista e ottenendo un applauso lungo e caloroso, come da anni non si vedeva al teatro Bellini. Un toccasana per chi ha sofferto col teatro in questi anni.
Anastasia Boldyreva
è stata un’ottima Carmen, bello il timbro e di gusto l’interpretazione, grazie ad una linea di canto mai sopra le righe. Facile la voce negli acuti, sempre ben proiettati. Le è forse mancata la sensualità propria del personaggio, probabilmente per questioni legate alla staticità della regia. In ogni caso la sua notevole bellezza, ha superato con la semplice presenza le eventuali pecche sceniche. Applauditissima dal pubblico, al termine dell’opera.
Buona la prova di
Anna Delfino
(Frasquita) e
Albane Carrère
(Mercedes). Così come anche il Dancaïre di
Filippo Lunetta
, il Remedado di
Saverio Pugliese
e il Morales di
Claudio Mannino.
Il giovane
Gaetano Triscari
ha ben figurato nel ruolo di Zuniga.
Un’esecuzione degna di una prima stagionale di un teatro di tradizione come il
Bellini
.
Un pienone che sta a dimostrazione del fatto che il pubblico non aspettava null’altro che un po’ di qualità. Quasi impossibile trovare posti anche per le prossime recite.
Molto bene sta lavorando il sovrintendente
Giovanni Cultrera
e, se il buongiorno si vede dal mattino, mi sa che quest’anno ne vedremo delle belle.
Foto di Giacomo Orlando