È con un lunghissimo atto di citazione, di ben 87 pagine, che i Liquidatori giudiziali della Pubbliservizi chiedono il conto agli ex amministratori e sindaci che si sono succeduti tra il 2013 ed il 2018, anno in cui la partecipata della Città Metropolitana venne commissariata e da lì, per inciso, parte un'altra storia di certo non meno complessa ma che magari sarà approfondita successivamente.
Al momento ci limitiamo all'elencazione di quelli che vengono ritenuti dalla Liquidazione come i responsabili diretti di quella mala gestio che ha poi portato al fallimento.
L'atto di citazione, redatto con estrema precisione dall'avvocato Andrea Musumeci, merita approfondimento perché ripercorre la storia spesso assurda, esagerata, di una società interamente pubblica che molto probabilmente poteva sopravvivere e svolgere servizi essenziali per la comunità, mentre in realtà è stata trasformata in un bancomat privato.
Circostanza, a quanto pare, non isolata nel panorama delle partecipate pubbliche catanesi.
Ed in almeno un caso, con conseguenze ben più devastanti per l'intera regione: ma questa è altra storia, per quanto di immediata attualità.
Tornando all'atto di citazione, si legge:
Pubbliservizi “ha operato al di fuori dello schema normativo delle società in house providing, senza tener conto dell’obbligo di provvedere ai servizi richiesti in maniera efficiente in termini di economicità, beneficio sociale, tempestività, tenuto conto, malgrado la presenza di personale, del sistematico ricorso al subappalto (in remissione per la società), al noleggio di mezzi (anche dove presenti), alla esternalizzazione dei lavori con gravissimi danni economici per la società” (cfr. pag. 9).
Con riferimento alle cause dell’insolvenza il Commissario giudiziale ha rilevato che la pregressa gestione aziendale si era manifestata carente sotto molteplici punti di vista, riepilogati come segue:
- pessima gestione dei servizi affidati con ricorso a subappalti, contratti esterni, affidamenti a terzi, in larga parte non giustificati con aumento di costi a carico della Società;
- mancata attuazione degli indirizzi gestionali della Città Metropolitana di Catania;
- forza lavoro pari a n. 400 risorse distribuite in modo irrazionale tanto per le professionalità “avvocati abilitati inseriti nella custodia” degli immobili, quanto per le attività (diplomati di grado superiore applicati in attività manuali) e viceversa “persone senza titoli “promossi” in funzioni quasi apicali;
- “assunzione di interi nuclei familiari senza alcuna selezione” conseguente all’assenza di controllo, sotto ogni punto di vista, con aumento di costi a carico della Società;
- mancanza generalizzata di organizzazione con conseguenti comportamenti dannosi per la Società (furto carburante, uso privato dei mezzi aziendali, false dichiarazioni sulle attività poste in essere etc etc...);
- ritardi continuati e reiterati nell’esecuzione dei servizi con l’applicazione di rilevanti penali da parte del socio affidatario;
- mancanza di una struttura amministrativa adeguata unitamente all’assenza di controllo;
“inerzia del Collegio Sindacale di fronte ad una conduzione aziendale priva degli elementari principi di cautela e di sana gestione”;
- “assenza di iniziative della Società di Revisione e di fronte alle numerose violazioni compiute dagli organi societari”.
Il Commissario giudiziale, sostanzialmente, rappresentava che la Società era completamente priva di una struttura aziendale razionale ed efficiente, incapace di dare vita a comportamenti professionalmente adeguati."
E ancora:
Nonostante l’integrale perdita del capitale sociale, sebbene tutti i coefficienti mostrassero la perdita della continuità aziendale e uno stato di insolvenza, malgrado l’assenza di qualsiasi iniziativa volta a un concreto miglioramento dei conti, benché fosse chiaro che la prosecuzione dell’attività comportasse un cospicuo aggravio del passivo, tutti i Convenuti in maniera coordinata e costante hanno fatto del loro meglio per celare la reale situazione della società e proseguire l’attività.
Ciò che si vuole rilevare con forza è che i vari amministratori e sindaci dimissionari erano ben al corrente che a causa del loro comportamento omissivo la società avrebbe proseguito ad accumulare debiti, per cui gli stessi erano perfettamente coscienti anche del danno futuro, e lo hanno consapevolmente provocato attraverso il loro apporto.
Del pari Città Metropolitana di Catania ha utilizzato la propria posizione di socio (quasi unico), di padrone e controllore per beneficiare a costi ridotti dei servizi di Pubbliservizi; allo stesso tempo abusando di tale posizione ha limitato i finanziamenti occultando il dissesto con i citati atti di mala gestio. Il tutto nella consapevolezza che i vari fornitori avrebbero continuato a dare fiducia alla società in virtù del controllo analogo, e dell’idea comune (rivelatasi errata) per cui non può fallire una società detenuta per intero dalla Provincia.
Alla fine i fatti dimostrano che Città Metropolitana non ha mai fornito il dovuto supporto né in termini di organizzazione, né finanziario, e ciò sia nella fase in bonis, sia nell’ambito dei vari concordati. Infatti, anche nell’ambito di entrambi i concordati Città Metropolitana ha continuato a far finta di promettere, senza però prendere precisi obblighi (esemplare in proposito il tentativo di conferimento di un immobile del tutto abusivo rilevato dalla Corte d’Appello).
Nel frattempo (sia durante i concordati, sia durante la fase di esercizio provvisorio durante la liquidazione giudiziale), Città Metropolitana ha sempre goduto dell’attività di Pubbliservizi."
Particolarmente dura la valutazione dell'operato dei sindaci: "In precedenza, ci si è dilungati nella trascrizione dei vari verbali di c.d.a. e assemblea anche per dimostrare in maniera documentale la conoscenza dei vari atti di mala gestio da parte dei sindaci.
Invero, i sindaci erano perfettamente al corrente delle irregolarità sopra descritte, in quanto poste in essere durante il periodo in cui gli stessi facevano parte dell’organo di controllo, e risultanti da documenti contabili dagli stessi attenzionati. Peraltro, molte delle irregolarità de quibus hanno avuto una durata – o una ripetitività – di svariati anni e comunque erano oggetto di ripetuti confronti tra i Convenuti."
Da qui, lo abbiamo estremamente sintetizzato, la richiesta di risarcimento per un totale di 11 milioni 484 mila euro, così suddivisi:
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