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CONVIVERE TRATTANDO

24-01-2013 06:41

Autore

catania, ercolano, Iblis, mafia, nino strano, santapaola, Dario De Luca, Tenutella, Angelo Santapaola, Santo La Causa, estorsioni, Marsiglione, Bicocca, Imprese,


 



 



L’affare “Tenutella”, l’intervento dei politici per sbloccare i lavori e gli imprenditori che da vittime diventano partner economici di Cosa Nostra




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Il contributo del pentito Santo La Causa si sta dimostrando utile alla magistrature per togliere il velo su omicidi e dinamiche di comando delle famiglie catanese. Ad essere svelate sono però anche le modalità con cui Cosa Nostra si organizza in maniera capillare per la gestione delle estorsioni. Non sempre i mafiosi, impongono il pizzo con la violenza, spesso cercano di entrare nella psicologia delle loro vittime. La strada migliore da percorrere è quella che non suscita l’indignazione degli imprenditori che potrebbe portare alla ribellione. Esistono quindi metodi meno invasivi. Molte volte è la stessa vittima a cercare la “protezione”, senza attendere il "segnale”. Il costo dell’estorsione rischia di essere accettato e, in alcuni casi, si assiste addirittura ad una ribaltamento dei ruoli. L’imprenditore da vittima si trasforma in intermediario  di Cosa Nostra diventandone un vero e proprio partner economico.
 



Le imprese, come conferma nella sua deposizione, l’ex reggente operativo della famiglia Santapaola-Ercolano Santo La Causa, sono fondamentali per il mantenimento dei rapporti con i vari capi provinciali. Nello schema organizzativo di Cosa Nostra le famiglie, solitamente tre o quattro, vengono inserite all’interno dei mandamenti. Quando un’impresa territorialmente inserita in una provincia e di conseguenza in un mandamento vince un appalto nelle altre provincie ecco attivarsi il meccanismo di controllo: “Le imprese sotto il nostro controllo venivano presentato alle famiglie nei territori di competenze, nella Provincia di Catania si divide a metà nelle altre per intero – spiega La Causa -. Con la famiglia dei La Rocca di Caltagirone si scelse di dividere i proventi delle estorsioni delle imprese più grosse, mentre si lasciava ai La Rocca le estorsioni di quelle più piccole”.
 



L’approccio con le imprese, raccontato da La Causa, conferma il metodo “felpato” con cui Cosa Nostra agisce, “Si usavano intermediari o imprenditori conosciuti per fare formalmente la richiesta”. Il pentito cita un esempio che ha come protagonista Vincenzo Basilotta, re del movimento terra originario di Castel di Iudica, “Nel 1998 – racconta La Causa – Basilotta pagò l’estorsione e lui stesso mi portò la percentuale di un imprenditore che conosceva”.
 



Il destino dei proventi delle estorsioni vengono inseriti in quella che nel gergo criminale viene definita “la bacinella”. La stessa che secondo La Causa, Angelo Santapaola, cugino dello storico boss Nitto, “gestiva a modo suo”. I soldi vengono utilizzati nei modi più consoni al mantenimento della famiglia, dagli “stipendi” degli uomini d’onore, al pagamento delle parcelle degli avvocati fino al sostentamento degli affiliati detenuti.
 



A pagare sono anche le imprese di Cosa Nostra che si spostano nelle varie provincie. La percentuale varia dall’ 1,5 al 1,8 % sul totale dell’importo del lavoro. Uno sconto inserito in una regola non scritta applicata dalla famiglia Santapaola, a fronte di una percentuale che normalmente è del 2%.  I soldi dalla contabilità delle imprese escono tramite fatture false e finti acquisti di materiale edile. I clan nella maggior parte di casi come detto si trasformano in partner economici degli imprenditori vessati, obbligando forniture e assunzioni di soldati o amici all’intero dei cantieri.
 



Dal 2006 al 2009 – racconta La Causa – la contabilità veniva tenuta da me, Vincenzo Aiello, Franco Arcidiacono, Orazio Magrì e Carmelo Puglisi. Quello più indicato però a trattare con le imprese era Aiello che aveva l’incarico di girare i paesi per i proventi”.
 



Il vero cuore del processo Iblis è un mega affare sul quale ruotarono una vortice di euro, quello della realizzazione del centro commerciale “La Tenutella” oggi “Centro Sicilia”. Imprenditori, mafiosi e politici oggi si trovano dietro lo stesso banco degli imputati.



La Causa durante l’ultima udienza ha iniziato a raccontare la sua verità “Mi parlò di questo affare Salvatore Battaglia, invitandomi ad entrare nell’affare (ndr. di cui La Causa è stato padrino d’affiliazione), poiché lui aveva un processo in Cassazione e capiva che da lì a poco non se ne sarebbe più potuto occupare. Per sbloccare l’affare intervennero Mario Ercolano (ndr. figlio di Sebastiano) e Franco Marsiglione che aveva i contatti con i politici per sbloccare il lavoro e le autorizzazioni. Una volta sbloccato e venduto il progetto e i terreni l’organizzazione avrebbero ottenuto in cambio un regalo di 400 mila euro. Poi entrò Enzo Aiello e altri”.
 



Ma chi diede questi soldi? La Causa fornisce la sua risposta “Diciamo che non era una percentuale ma un regalo che Enzo Aiello definì “magnacciuni””. Il termine si riferiva ad un tipico intercalare che utilizzava lo storico boss Nitto Santapaola per definire i soldi fuori dalla percentuale delle imprese. Denaro che non andava versato nella “bacinella” ma intascato da chi si stava interessando affinché i lavori venissero sbloccati. Per la Tenutella si decise “una divisione a metà tra Marsiglione, La Causa, Aiello e Magrì”.
 



Chi erano i politici interpellati per lo sblocco dei lavori ? “Inizialmente mi dissero che Marsiglione aveva curato questa cosa con i politici, Franco Arcidiacono mi disse che uno dei politici era Strano, questo è l’unico nome che mi fu fatto, ma parlarono sia D’Urso che Arcidiacono al plurale dicendo “i politici””.
 




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Nino Strano (nella foto), ha già respinto anche in passato, quanto emerse dalle prime dichiarazioni a verbale dell’ex reggente mafioso Santo La Causa  «Le dichiarazioni di questo personaggio a me ignoto non mi preoccupano minimamente in quanto non mi sono mai occupato in alcun modo della vicenda Tenutella, a me altrettanto ignota, né, tanto meno, ho fatto mai favori ad alcuna impresa nel corso della mia lunga attività istituzionale».



Il nome del Senatore catanese, appartenente al partito di Fini, Futuro e Libertà, era stato inizialmente iscritto nel registro degli indagati proprio dell’inchiesta “Iblis” con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La sua posizione venne presto stralciata con una successiva richiesta d’archiviazione. Quest’ultima non venne accolta dal gip Luigi Barone, lo stesso del rinvio a giudizio per i fratelli autonomisti Lombardo, richiedendo una proroga per le indagini sul senatore. A cambiare lo scenario furono proprio le dichiarazioni rese durante la compilazione dei primi verbali dopo il pentimento da parte dell’ex reggente Santo La Causa.
 



 



- foto speciale Dario De Luca -
 


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L’affare “Tenutella”, l’intervento dei politici per sbloccare i lavori e gli imprenditori che da vittime diventano partner economici di Cosa Nostra


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Dario De Luca & FF


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