Impressionante la quantità di frammenti di pericoloso eternit presente in Contrada Monpeluso, nel territorio di Nicolosi, a poca distanza dal rinomato sito naturale dell'Etna riconosciuto dall'UNESCO come patrimonio dell'Umanità. Nessuno sembra conoscerne l'esistenza eppure la discarica a cielo aperto è li dal 1998. Nicolosi, un'altra vergogna tutta siciliana quella che si presenta in Contrada Monpeluso all'interno dei locali ormai dismessi della ex fabbrica di fuochi pirotecnici della famiglia Viola. Era il 1998 quando una terribile esplosione, della quale sono tutt'oggi sconosciute le cause, provocò la deflagrazione del capanno adibito alla miscelazione dei coloranti costando la vita a tre operai tra i quali il proprietario dell'attività Maurizio Viola. Dell'incidente si parla ampiamente sulle pagine della cronaca locale del maggio '98, descrivendo la triste vicenda come un evento apocalittico che scagliò le macerie dei capanni in cemento armato a 150 metri di distanza fuori dalla vasta area della fabbrica, fino ad arrivare in prossimità della strada. Un episodio che occupò le prime pagine dei quotidiani e sul quale intervennero anche il segretario della CGIL di Catania, Giacomo Scarciofalo, toccando il tema della sicurezza sui posti di lavoro ed il sostituto procuratore della Repubblica Ignazio Fonzo che visitò di persona i locali della ditta Viola. Ebbene, mentre l'attenzione dei media e delle Istituzioni era rivolta alla tragedia umana che da poco si era consumata, un'altra catastrofe di tipo ambientale avrebbe avuto un suo inevitabile seguito negli anni: per ben 2 decenni ormai. Ma come è stato possibile ignorare la presenza delle migliaia di frammenti di eternit disseminate nei terreni circostanti per centinaia di metri? Frammenti di varie dimensioni derivanti in parte dall'esplosione delle coperture in eternit dei capannoni interessati ed in parte dall'azione rovinosa del vento che negli anni ha scoperchiato i pochi box rimasti integri scaraventandone al suolo i tetti composti dal pericoloso materiale. Eppure al tempo del disastroso evento la pericolosità delle fibre d'asbesto era già nota. In effetti già dal 1992, tramite la promulgazione della Legge 257/92, l'amianto venne dichiarato fuorilegge in Italia e a partire dal 1993 ne venne vietata l'importazione, l'estrazione e la commercializzazione. L' ART. 12. della legge 257/92 riconosceva chiaramente il rischio per la salute pubblica derivante dalla contaminazione d'amianto ed al punto 6 recitava: i rifiuti di amianto sono classificati tra quelli speciali, tossici e nocivi, in base alle caratteristiche fisiche che ne determinano la pericolosita', come la friabilita' e la densita'. Eppure tutto questo pare sia sfuggito all'attenzione delle pubbliche autorità responsabili della salute Pubblica, in particolare del sindaco di Nicolosi e dei vari soggetti coinvolti in questa infausta vicenda. Gli unici ai quali non è di certo sfuggita la presenza di rifiuti speciali in un sito ormai abbandonato, sono quelli che hanno approfittato del luogo incustodito per abbandonarvi altro materiale tossico nella speranza che si confondesse con quello già presente, contribuendo in tal modo alla formazione di una vera e propria discarica abusiva... ed oltremodo pericolosa. Noi di Sudpress abbiamo deciso di assumere l'iniziativa di fronte ad un tale scempio ambientale ed in considerazione dei seri rischi derivanti per le persone residenti in zona, così siamo andati a protocollare la nostra segnalazione sulla presenza di rifiuti cancerogeni prima al Comune di Nicolosi e successivamente all'A.S.P. Mentre presso gli uffici comunali gli impiegati si limitavano a prendere in carico la segnalazione, senza mostrare particolare interesse per la circostanza, presso i locali del Siav- Servizio Igiene Ambienti di Vita sito in via Tivoli a San Gregorio di Catania, il medico in servizio ci informava sulla corretta procedura che il Dipartimento di Prevenzione Medico avrebbe posto in atto: entro 30 giorni un ispettore dovrebbe andare a verificare la presenza in loco dei rifiuti pericolosi, la relazione del sopralluogo effettuato verrà inviata alla Procura che dovrà autorizzare l'apposizione dei sigilli all'area contaminata e comunicare al Comune di pertinenza il sequestro del sito chiedendone una celere bonifica. In sostanza l'ASP avrà l'onere di individuare e censire le zone a rischio per la salute pubblica, ma la responsabilità del benessere cittadino rimarrà in capo al Sindaco che dovrà trovare i fondi in bilancio per autorizzare la costosa opera di bonifica... con appena 20 anni di ritardo. Staremo a vedere.