Sta facendo riflettere il caso del giovane statunitense di origini italiane che ha assassinato a sangue freddo a colpi di pistola il top manager delle assicurazioni sanitarie americano: il movente pare essere una mancata assistenza e sul tema si è scatenato il delirio sui social, con tanto di paventate emulazioni.
A quanto pare i manager delle assicurazioni sono tra i più detestati…
L'omicidio di Brian Thompson da parte di Luigi Mangione e l’aumento della violenza giovanile sono due fenomeni che, pur essendo ai poli (e non in senso metaforico) opposti, condividono un elemento inquietante: la romanticizzazione della violenza. Da un lato, Mangione è diventato una figura mitizzata, memata e anche un po' sexy, un’icona antisistema in un’America sempre più polarizzata.
Per una volta gli americani sono in ritardo sui tempi: noi questi fenomeni li abbiamo vissuti 50 anni fa.
Dall’altro, l’aumento del possesso di coltelli e pistole tra i minori italiani rivela un’inquietante fascinazione e appeal verso la violenza come simbolo di potere, appartenenza o ribellione.
Mangione, giovane, attraente e ambiguo, è stato elevato a eroe, anzi antieroe, da piccoli gruppi social e poi da un pubblico più ampio, per aver colpito un simbolo dell’odiato sistema sanitario statunitense.
La sua immagine, amplificata dai media, è diventata parte di una narrativa più ampia in cui l’omicidio è giustificato da motivazioni di riscatto sociale.
I meme, il merchandising e persino i concorsi di sosia mostrano come la cultura pop abbia trasformato un crimine in grottesco intrattenimento.
Tuttavia, questa idealizzazione riflette un disagio profondo, alimentato da sistemi percepiti come ingiusti e irraggiungibili.
Parallelamente, la Sicilia registra un’escalation di episodi di violenza legati all’uso di armi, specialmente tra i minori.
I ragazzini, spesso influenzati da modelli culturali distorti, portano coltelli o persino pistole non solo per difendersi, ma anche per costruire un’identità in contesti di insicurezza. I dati parlano chiaro: furti, risse e aggressioni sono in aumento, con un’impennata di reati commessi da adolescenti.
Questo fenomeno non riguarda solo le periferie, ma attraversa tutte le classi sociali, evidenziando una tragica (e comica) crisi educativa ed evolutiva.
Insomma, in entrambi i contesti emerge una pericolosa confusione tra realtà e finzione.
Negli Stati Uniti ed ora anche in Italia, la mitizzazione di Mangione sembra alimentare la tolleranza verso la violenza politica, mentre in Italia i giovani sembrano trarre ispirazione da narrazioni che glorificano il crimine come via d’uscita o affermazione personale. In entrambi i casi, i social media giocano un ruolo cruciale, più importante di qualsiasi apparato di giustizia.
La visibilità garantita dalle piattaforme digitali rende questi esempi accessibili e attraenti, alimentando una cultura in cui la violenza viene normalizzata o addirittura esaltata.
Queste dinamiche, benché geograficamente distanti, evidenziano un fenomeno globale: la tendenza a giustificare o glorificare la violenza quando questa si inserisce in una narrazione più ampia di giustizia sociale o affermazione personale.
Sia il caso Mangione che l’aumento della violenza giovanile richiamano l’attenzione sulla necessità di interventi, più che culturali, strutturali.
Insomma, per concludere: se i ragazzini vedono in Mangione un mito esaltato da tutti, questo inevitabilmente passerà dall'essere un'eccezione all'essere un fenomeno.