In un teatro con troppe poltrone e palchi vuoti, il 23 settembre 2018, a 183 anni dalla morte del sommo compositore catanese Vincenzo Bellini, è andata in scena la sua prima opera: Adelson e Salvini. È questa un’opera molto poco rappresentata, ma non meno interessante delle sue più celebri. Messa in scena per la prima volta nel 1825, come “saggio” al termine del percorso di studi del compositore a Napoli, Adelson e Salvini debuttò, all’ombra del Vesuvio, nel teatrino del conservatorio. È l’opera che mise in luce il genio creativo di Bellini, che gli fruttò la prima scrittura al San Carlo di Napoli, è l’opera che favorì la nascita di una grande amicizia col già celebre collega Gaetano Donizetti, suo estimatore; amicizia che gli aprì molte porte nel mondo del teatro musicale. La prima opera lirica di Bellini è anche il primo mattone di un edificio che in dieci anni generò quei capolavori che cambiarono per sempre il mondo della musica. Solo dieci anni. Cosa sarebbe stato il Bellini maturo non ci è dato di sapere, possiamo solo rimpiangere di non aver usufruito che di pochi anni della sua genialità. Questa prima opera, scritta per voci maschili (i ruoli femminili all’epoca furono affidati a castrati ed anche nel coro mancano le voci femminili), risente molto dell’influenza rossiniana e di una napoletanità che, pur attenuandosi parecchio negli anni, talvolta vien fuori anche nelle opere liriche della maturità. Bellini, già da questa sua prima composizione, ci dà un segnale molto chiaro di cosa intende consegnare al mondo e ci prepara ai gioielli che genererà negli anni; già sin dalla sinfonia introduttiva assistiamo alle prove tecniche per le opere successive, il Pirata in primis, andando avanti ritroviamo nel tessuto della composizione momenti musicali che riprenderà anche in Capuleti e Montecchi. Un gioiello che andrebbe più spesso esposto nei teatri d’opera, ma che obtorto collo cede il passo alle più celebri, Sonnambula, Norma etc… Ma ieri il sommo compositore lo ha dato in dono al pubblico catanese, nel giorno della commemorazione della sua morte. Il pubblico ha tanto apprezzato e applaudito e speriamo che presto torni a riempire un teatro sempre più vuoto. È impensabile che in una serata del genere il teatro non registri il “tutto esaurito”. La coproduzione col Teatro Pergolesi Spontini di Jesi ha generato un prodotto di qualità. La regia di Roberto Recchia è sempre pertinente e non si concede licenze inutili. Ha anche il merito di assecondare i cantanti e consentir loro di esprimersi appieno. Belli i costumi e le scene, anche se una copertura avrebbe permesso alle voci di proiettarsi meglio. L’orchestra, diretta da un Fabrizio Maria Carminati, in particolare stato di grazia, ancora una volta, ha dato prova di quanto nel suo organico non manchino le eccellenze, basta semplicemente chiamare sul podio un direttore di caratura e il capolavoro è compiuto. Anche il coro ha ben figurato, nonostante i continui cambiamenti di maestri del coro, che di certo non giovano a dar serenità all’organico. Felice la scelta del cast. Non occorre fare contorsionismi per consegnare al pubblico un prodotto di qualità, scritturare dei giovani e valenti artisti e affiancare loro un paio di “pezzi forti” genera risultati inaspettatamente belli. Inutile dire che il pezzo forte della serata è stato Josè Maria Lo Monaco. L’artista catanese, anagraficamente giovane, ma con una già lunga e prestigiosa carriera alle spalle, nel ruolo di Nelly, ha letteralmente ammaliato il pubblico sin dal suo ingresso sul palcoscenico, raggiungendo il culmine nell’aria “dopo l’oscuro nembo”, ricevendo un grande consenso e applausi a scena aperta. L’altro grande vecchio, Carmelo Corrado Caruso, ha mostrato quanto la sua esperienza e generosità interpretativa, possa trascinare tutto il cast. Protagonista e gregario nel contempo, artefice certamente di un successo, che ricalca la trama dell’opera, che vede in lui un Lord Adelson, maestoso padrone, ma anche umile servitore del popolo, nel finale. Il ruolo di Salvini è stato affidato al giovane tenore Francesco Castoro, giovane, ma non certamente di primo pelo. Il Castoro ha ottenuto, a ragione, il consenso del pubblico. Applauditissimo, giustamente, nel finale. Tenore di grazia della miglior tradizione, con un buon gusto interpretativo e facilità negli acuti, appropriato per l’aulica figura del pittore che si strugge d’amore. Il basso Clemente Antonio Daliotti ha conquistato il pubblico catanese, interpretando con simpatia il ruolo del servitore napoletano Bonifacio. Davvero a proprio agio nei recitativi, ha mostrato di possedere la giusta tecnica e il volume vocale per interpretare un ruolo buffo, tutt’altro che facile e non senza tranelli, senza mai scadere nella volgarità. Hanno ben figurato anche Giuseppe De Luca e Oliver Pürckhauer,rispettivamente nei ruoli di Struley e Geronio. Buona la prova di Kamelia Kader (Madama Rivers) e Lorena Scarlata(Fanny). Un Bellini di qualità e poco conosciuto che è piaciuto agli astanti. Speriamo che la dirigenza faccia tesoro di questo successo, per costruirne di nuovi, correggendo magari il tiro, perché ciò che si prospetta nell’immediato futuro non sembra entusiasmante. Il rischio se no è che le poltrone divengano sempre più vuote.