I cittadini catanesi, almeno la maggior parte, sono morti da tempo.
Non si spiegherebbe altrimenti com'è possibile che accettino di vivere in una città ridotta nel modo in cui è la loro, la nostra città.
Come se fosse normale lo stato delle strade, la sporcizia, il mare inquinato di un Lungomare abbandonato e circondato da ringhiere arrugginite.
Come se fosse normale il centro storico in mano alle gang, le scuole che cadono a pezzi, San Berillo una piazza di spaccio, le periferie prive dei minimi servizi.
Si potrebbe continuare all'infinito.
Solo un popolo di zombie inebetiti da promesse mai mantenute può rendere plausibile un simile stato di degrado che ormai non è più neanche culturale e probabilmente nemmeno morale, ma proprio intellettuale: non può essere altro che un popolo di cretini quello che consente di farsi ridurre così.
E quindi il 28 e 29 maggio prossimi si vota per il nuovo sindaco della nona città d'Italia, del suo consiglio comunale che dovrebbe essere il “Senato” cittadino, ed anche degli inutili “consigli di quartiere”.
Sarà il solito disastro annunciato, ogni volta si pensa di aver toccato il fondo ed ogni volta si viene smentiti perché l'unica nota vera è che al peggio non c'è fine.
Le tornate elettorali di riferimento, per vicinanza temporale e aderenza dei sistemi elettorali, sono le recenti regionali dello scorso settembre e le comunali del 2018, entrambe risolte col metodo proporzionale ed una pletora di candidati nelle più diverse liste, divise nei soliti schieramenti geografici di centrodestra e centrosinistra, con l'aggiunta di qualche outsider che vive la sua stagione di notorietà per poi tornare nell'insignificanza. Da decenni va ormai così.
I risultati sono sempre più sconfortanti, l'affluenza ormai scesa al di sotto del fatidico 50% che denuncia un'emergenza democratica: di conseguenza gli eletti alle varie cariche rappresentano sempre più se stessi o qualche consorteria piuttosto che interessi diffusi e di conseguenza il livello di questa “rappresentanza” è di tipo troglodita.
Alle scorse comunali di Catania, quelle del 2018, gli aventi diritto al voto erano 265.165 e si recarono alle urne in 140.892: appena il 53,18%.
Il risultato fu che il centrodestra, unito, e con ben 9 liste e 324 candidati, vinse al primo turno.
Ma, questo il dato, totalizzando sul candidato sindaco appena 69.029 voti, in realtà quindi andò a governare i successivi 5 anni con solo il 26,03% degli aventi diritto al voto.
Il centrosinistra, con cinque liste, arrivo ad ottenere 34.858, uno striminzito 13,14% degli aventi diritto.
Delle nove liste del centrodestra 6 superarono lo sbarramento elettorale del 5%, nel centrosinistra tre.
Significa che c'è almeno un bel 61% di cittadini catanesi che potrebbe scatenare l'inferno se solo si svegliasse.
Se poi si somma al cosiddetto “voto di protesta” che ad ogni tornata premia proposte effimere, la soglia degli elettori “antisistema” supera abbondantemente l'80%!
Ah, se avessero uno scatto d'orgoglio e coscienza…
Non diversamente è andata nella più recente tornata per le regionali dello scorso settembre.
Nel comune di Catania gli elettori erano 261.180 ed hanno esercitato il diritto/dovere in 133.138: il 50,98%.
Cinque le liste del centrodestra e due quelle del centrosinistra.
Il centrodestra ha “vinto”, portando a casa presidente, governo e le centinaia di sottogoverni che si mangiano la Sicilia, ottenendo a Catania 54.992 voti: neanche il 21% degli aventi diritto al voto.
Il centrosinistra è arrivato a stento a raggranellare sul candidato presidente 20.048 voti, neanche l'8% degli elettori del comune di Catania.
Questi numeri possono dire tante cose, suscitare ogni genere di opinione, ma due dati sono inconfutabili.
Il primo che ormai chi “vince” rappresenta esigue minoranze che ormai si riducono alla somma dei voti di preferenza dei singoli candidati, la cosiddetta “opinione” è letteralmente scomparsa.
Secondo: non esiste nessuna “corazzata”, né a destra né a sinistra, si tratta ormai di accozzaglie di clientele, sempre più asfittiche e residuali, che provano a sostituire le une alle altre per poter poi, congiuntamente, continuare a banchettare da cannibali sulle spoglie di una città che ormai non ha più neanche quella mitica cenere sulla quale vantava di risorgere, ed alla faccia di tutti quei catanesi che, per apatia, complicità o vanagloriosa “spirtizza”, preferiscono continuare ad essere sbranati da lupi più stupidi delle pecore che sono.
Quindi, anche per questa Pasqua, gli auguri di resurrezione li facciamo: ma di circostanza.